Un’impronta chimica oltre il nostro pianeta
Un team internazionale di ricercatori ha compiuto un importante passo avanti nello studio dell’origine della vita sulla Terra, grazie all’analisi dettagliata di una molecola a base di zolfo trovata nello spazio. La protagonista è il metil mercaptano deuterato singolarmente (CH₂DSH), una molecola complessa rilevata nei pressi di una giovane stella simile al Sole, che potrebbe rappresentare un anello mancante tra la chimica interstellare e la chimica prebiotica.
Grazie all’impiego della luce di sincrotrone presso la Canadian Light Source (CLS), gli scienziati sono riusciti a studiare in dettaglio il comportamento di questa molecola quando esposta a radiazioni ad altissima energia. L’obiettivo? Comprendere quali condizioni nello spazio profondo possono portare alla formazione di molecole biologiche complesse, potenzialmente alla base della vita.
Il ruolo dello zolfo nell’origine della vita
Lo zolfo è un elemento chiave per la biochimica terrestre: è presente in amminoacidi, vitamine e coenzimi, tutti componenti essenziali dei sistemi viventi. Studiarne le forme molecolari nello spazio potrebbe quindi offrire un quadro più chiaro su come certe molecole abbiano potuto raggiungere la Terra primordiale, magari trasportate da comete o meteoriti.
Il metil mercaptano deuterato (CH₂DSH), in particolare, rappresenta una variante interessante: la presenza del deuterio (un isotopo dell’idrogeno) può fornire informazioni preziose sui processi chimici in ambienti freddi e ricchi di radiazioni, tipici delle nubi molecolari interstellari.
La luce di sincrotrone: un faro sulla chimica del cosmo
Per analizzare le proprietà di CH₂DSH, i ricercatori hanno usato la spettroscopia terahertz ad alta risoluzione con luce di sincrotrone, una tecnica avanzata che permette di rilevare anche i minimi segnali vibrazionali emessi dalle molecole.
La luce di sincrotrone viene generata accelerando particelle cariche, come gli elettroni, quasi alla velocità della luce e deviandoli attraverso campi magnetici. Questo processo riproduce in laboratorio le condizioni di energia e radiazione che esistono nello spazio profondo, dove la luce stellare può ionizzare e modificare la struttura delle molecole.
“Stiamo cercando di capire quanto lontano possa spingersi la chimica verso la creazione di molecole biologiche più grandi”, ha commentato Hayley Bunn, una delle ricercatrici coinvolte. “E soprattutto: quali ambienti cosmici permettono questi passaggi?”
Verso una mappa molecolare dello spazio
Una volta identificata l’“impronta digitale” di CH₂DSH, gli scienziati possono ora cercare tracce di molecole simili in altre regioni dello spazio. Questo approccio apre la strada a una mappatura chimica dell’universo, per individuare zone potenzialmente favorevoli alla vita o almeno alla formazione di precursori biologici.
I dati raccolti non sono solo fondamentali per comprendere la chimica dello spazio profondo, ma anche per rispondere a una delle domande più affascinanti della scienza moderna: la vita è un evento raro o una naturale conseguenza della chimica cosmica?
Quando l’astrochimica incontra la biologia
La ricerca si inserisce nel filone sempre più ricco dell’astrochimica, una disciplina che fonde fisica, chimica e astronomia per investigare i legami tra ambiente cosmico e molecole organiche. La scoperta di molecole contenenti zolfo come CH₂DSH dimostra che i mattoni fondamentali della vita possono formarsi in ambienti estremi, lontano dai pianeti, e che la Terra potrebbe averli semplicemente ereditati da una chimica già in corso nell’universo primordiale.
Questi studi, inoltre, preparano il terreno per le future missioni spaziali dedicate alla ricerca di segni di vita su altri pianeti o lune. Identificare composti come CH₂DSH in atmosfere esoplanetarie potrebbe diventare un indizio importante di abitabilità.