Cos’è davvero la sindrome dell’impostore e perché colpisce anche i più brillanti
Sentirsi inadeguati nonostante risultati evidenti non è solo un capriccio interiore o una momentanea insicurezza. La sindrome dell’impostore è un fenomeno psicologico definito dalla sensazione persistente di non meritare i propri successi, anche se questi sono riconosciuti da altri attraverso premi, ruoli di rilievo o apprezzamenti professionali.
L’aneddoto sull’astronauta Neil Armstrong che, a una festa, si chiedeva come fosse possibile trovarsi tra “persone che avevano fatto cose incredibili” pur avendo lui stesso camminato sulla Luna, esemplifica perfettamente quanto la percezione personale possa deviare radicalmente dalla realtà oggettiva.
Dalla scoperta del termine alle sue radici nella psicologia femminile
Il termine “sindrome dell’impostore” è stato coniato nel 1978 dalle psicologhe Pauline Rose Clance e Suzanne Ament Imes, le quali osservarono il fenomeno tra donne altamente istruite e di successo. Nonostante i risultati accademici e professionali di rilievo, queste donne tendevano a screditare i propri successi, attribuendoli alla fortuna o a errori di valutazione esterni.
All’epoca, il disturbo sembrava riguardare soprattutto il genere femminile, ma con il tempo si è compreso che si tratta di un fenomeno trasversale, che colpisce uomini, donne, studenti, manager, artisti e scienziati.
Chi ne soffre oggi e perché: il ruolo della salute mentale
Un recente studio danese dell’Università di Copenaghen, pubblicato su Nature Communications, ha analizzato l’effetto della salute mentale sulla percezione delle proprie competenze. I ricercatori hanno identificato una forte correlazione tra ansia, depressione e percezione distorta delle proprie capacità.
Le persone coinvolte, anche di fronte a risultati positivi, tendevano a non fidarsi del proprio giudizio e a minimizzare i propri successi. Anzi, si concentravano esclusivamente sui momenti di dubbio, rafforzando così una visione negativa e auto-svalutante delle proprie performance.
Un ciclo auto-alimentato che ostacola crescita e consapevolezza
La sindrome dell’impostore si alimenta di una spirale perversa. Il soggetto, sentendosi inadeguato, si sforza di ottenere risultati sempre migliori, ma anche di fronte a un successo oggettivo, continua a negare il proprio merito. Come ha spiegato Lisa Orbé-Austin, psicologa e autrice, “ci intrappoliamo in un pensiero disfunzionale che ci impedisce di accettare qualsiasi rinforzo positivo.”
Questo meccanismo può portare a burnout, stress cronico e isolamento sociale, soprattutto in contesti lavorativi altamente competitivi.
Come si può intervenire: il potere della validazione esterna
Gli interventi efficaci, secondo Sucharit Katyal, autore dello studio danese, devono agire sulle distorsioni metacognitive, aiutando la persona a rivalutare oggettivamente i propri successi e a prendere consapevolezza delle proprie competenze reali.
Strumenti semplici ma potenti includono:
Accettare consapevolmente i complimenti: dire semplicemente “grazie” invece di sminuirsi è un passo fondamentale per ristabilire una relazione equilibrata con la propria autostima.
Ricevere feedback costruttivi e sinceri: essere esposti a valutazioni esterne affidabili aiuta chi soffre della sindrome dell’impostore a connettersi con una realtà oggettiva, meno influenzata da timori irrazionali.
Il paradosso dei grandi: da Armstrong ai ricercatori di oggi
Questa condizione psicologica non risparmia neanche chi ha scritto la storia dell’umanità. Sentirsi un impostore può sembrare assurdo per chi ha compiuto imprese straordinarie, ma è proprio questo che rende il fenomeno così insidioso.
Se anche Neil Armstrong dubitava di sé, allora forse il senso di inadeguatezza che proviamo è più comune di quanto pensiamo. E forse, come ha scritto l’autore anonimo di quell’incontro memorabile, non ci sono adulti perfettamente sicuri al timone del mondo, ma solo persone che cercano di fare del proprio meglio ogni giorno.