Un nuovo farmaco sperimentale agisce su una proteina chiave del virus e protegge da danni cerebrali e polmonari
Un potenziale trattamento per il long COVID ha dato risultati promettenti nei test su modelli animali, aprendo la strada a un futuro farmaco capace di ridurre gli effetti a lungo termine dell’infezione da SARS-CoV-2. La molecola sperimentale, chiamata WEHI-P8, è stata sviluppata da un team di ricerca australiano e ha mostrato efficacia nel proteggere i topi non solo dalla fase acuta della malattia, ma anche da alcune delle complicazioni persistenti tipiche del long COVID, tra cui infiammazioni cerebrali e polmonari.
Un nuovo bersaglio antivirale: la proteina PLpro
A differenza dei farmaci attualmente disponibili, come Paxlovid, che agiscono su una proteina chiamata Mpro, il nuovo composto colpisce un’altra proteina virale: PLpro. Questa proteina non solo è fondamentale per la replicazione del virus, ma svolge anche un ruolo nel sabotare la risposta immunitaria dell’organismo.
Il team di ricerca ha testato oltre 400.000 molecole per individuare candidati capaci di inibire efficacemente PLpro, arrivando infine all’identificazione della molecola WEHI-P8. Nei test sui topi, il farmaco è stato somministrato sia prima dell’infezione sia nelle ore immediatamente successive, rivelandosi più efficace di Paxlovid nel ridurre carica virale, danni ai tessuti e risposta infiammatoria.
Risultati incoraggianti ma non risolutivi
Il nuovo composto ha mostrato una protezione significativa contro danni polmonari e neurologici, effetti tipici del long COVID, ma la sua efficacia è risultata meno evidente per quanto riguarda l’infiammazione cardiaca e intestinale. Ciò suggerisce che, sebbene promettente, la molecola non rappresenti ancora una soluzione completa e richiederà ulteriori sviluppi e studi.
Uno dei ricercatori coinvolti, Dr. Shane Devine, ha sottolineato che questi risultati rappresentano una prima prova concreta dell’efficacia di PLpro come bersaglio terapeutico. La natura complementare di WEHI-P8 rispetto a farmaci esistenti potrebbe rivelarsi particolarmente utile in vista dell’evoluzione continua del virus, che potrebbe rendere alcuni trattamenti attuali sempre meno efficaci.
Verso gli studi clinici sull’uomo
Per passare alla fase successiva, ovvero la sperimentazione sull’uomo, sarà necessario trovare partner finanziari e istituzionali disposti a sostenere i costi elevati degli studi clinici. Se questi dovessero confermare la sicurezza e l’efficacia della molecola, si potrebbe aprire una nuova via per il trattamento del long COVID nelle persone già colpite.
Inoltre, il team ha spiegato che WEHI-P8 è stato progettato per essere potenzialmente attivo anche contro altri coronavirus, un dettaglio che potrebbe rivelarsi decisivo nel caso di future pandemie virali. In un mondo in cui nuovi virus emergenti rappresentano una minaccia sempre attuale, un farmaco con una copertura più ampia sarebbe una risorsa preziosa.
Un impatto anche sulla sindrome da stanchezza cronica?
Il long COVID condivide molte caratteristiche con la sindrome da stanchezza cronica (CFS), una condizione debilitante di cui le cause restano ancora poco comprese. Secondo i ricercatori, se l’origine della CFS fosse virale, come si sospetta in molti casi, molecole come WEHI-P8 potrebbero offrire una nuova speranza terapeutica anche in quel campo.
Tuttavia, i ricercatori avvertono che se la CFS è causata da altri fattori ambientali o genetici, il nuovo farmaco non sarebbe efficace. La sfida rimane dunque quella di comprendere meglio le origini di queste patologie croniche e sviluppare terapie mirate basate su evidenze scientifiche solide.