Un enigma profondo: l’emergere dell’ossigeno oscuro negli abissi oceanici
Nel luglio 2024, una pubblicazione rivoluzionaria su Nature Geoscience ha acceso un intenso dibattito nel mondo scientifico. Un team di ecologi marini ha rilevato livelli inaspettati di ossigeno sul fondale dell’Oceano Pacifico, nella zona Clarion-Clipperton, situata a est delle Hawaii. In un ambiente completamente privo di luce, dove la fotosintesi è impossibile, è stato individuato un nuovo processo di produzione di ossigeno, ribattezzato “ossigeno oscuro”.
Il fenomeno è stato osservato per la prima volta nel 2013, quando un lander oceanico, rientrando da una profondità di circa 4.000 metri, ha riportato bolle di gas nei sedimenti. Inizialmente ritenuto un errore, il dato si è ripetuto nel 2015, convincendo i ricercatori ad approfondire. L’ecologo marino alla guida dello studio ha affermato che il team ha tentato a lungo di confutare i propri dati, ma ogni nuova immersione ha confermato la presenza autonoma di ossigeno sul fondo marino.
Ipotesi elettrochimica: i noduli polimetallici come fonte nascosta
Secondo i ricercatori, una possibile spiegazione potrebbe risiedere nei noduli polimetallici, strutture sferiche delle dimensioni di una patata, ricche di manganese, cobalto, litio, nichel e rame. Questi materiali, noti per essere componenti fondamentali delle batterie, potrebbero comportarsi come mini-accumulatori naturali, capaci di generare corrente elettrica. Tale energia sarebbe sufficiente a scindere le molecole d’acqua in idrogeno e ossigeno, rendendo possibile la formazione dell’ossigeno oscuro.
L’ipotesi, se confermata, potrebbe riscrivere completamente la nostra comprensione dell’evoluzione della vita aerobica sulla Terra, aprendo anche scenari sorprendenti sulla possibile esistenza di vita in ambienti extraterrestri, come i fondali di Titano o Encelado, lune ghiacciate di Saturno.
Ipotesi alternative e controversie scientifiche
Oltre alla pista elettrochimica, una ricerca cinese del marzo 2025, ancora in fase di preprint, ha ipotizzato che l’ossigeno oscuro possa derivare da processi batterici. Due ceppi di batteri di acque profonde sembrano in grado di ridurre il nitrato in ammoniaca, rilasciando ossigeno come sottoprodotto. Se così fosse, la fonte dell’ossigeno oscuro sarebbe biologica e non geochimica.
Ma non mancano le critiche. Una società mineraria di acque profonde, coinvolta nel finanziamento dello studio originale, ha pubblicato nel settembre 2024 un preprint confutativo, accusando gli scienziati di aver confuso l’ossigeno atmosferico, intrappolato nelle attrezzature, con una produzione subacquea reale. Secondo il biologo marino autore della replica, le bolle rilevate deriverebbero da aria intrappolata, smentendo così ogni implicazione legata ai noduli polimetallici.
Implicazioni ambientali e conservazione degli ecosistemi
L’ipotesi dell’ossigeno oscuro ha anche acceso una miccia tra le associazioni ambientaliste. Organizzazioni come la Deep Sea Conservation Coalition chiedono una moratoria sulle attività minerarie sottomarine, sottolineando come il fenomeno rappresenti una funzione ecologica non ancora compresa. Una nota professoressa dell’Istituto di Oceanografia Scripps ha definito la scoperta un’“innovazione cruciale” che deve essere considerata nella valutazione dell’impatto ambientale.
Tuttavia, l’ecologo responsabile dello studio si mantiene cauto. Secondo lui, il processo potrebbe avvenire solo in presenza del lander, che rimuovendo il sedimento permetterebbe l’attivazione dei noduli. E anche se il fenomeno è naturale, non è ancora chiaro quanto sia rilevante per l’ecosistema marino.
Oltre il mistero: il futuro della ricerca
Per sciogliere questi interrogativi, un nuovo ciclo di esplorazioni oceaniche con attrezzature avanzate è previsto per l’inizio del 2026. Lo scopo sarà quello di verificare in modo definitivo se l’ossigeno oscuro è una realtà naturale o un’illusione strumentale. Fino ad allora, come afferma l’ecologo, “siamo solo a pagina 3 di un libro che ne ha 942.”