L’arte come denuncia ambientale
Nel suo nuovo progetto fotografico, Mandy Barker trasforma il paesaggio costiero del Regno Unito in una testimonianza visiva della crisi ambientale legata all’industria della moda. Il libro Fotografie di alghe britanniche: Imperfezioni cianotipiche è un’opera che fonde tecnica storica e urgenza contemporanea, utilizzando il metodo della cianotipia, lo stesso impiegato nel XIX secolo dalla botanica e pioniera della fotografia Anna Atkins.
Ma dove Atkins catturava la delicatezza delle alghe marine, Barker svela la presenza silenziosa ma invasiva dei rifiuti tessili: abiti, scarpe, intimo, giacche e persino uniformi scolastiche abbandonati lungo le spiagge britanniche.
Un’eredità fotografica con un nuovo messaggio
La scelta della cianotipia non è casuale. Questa tecnica, nota per i suoi toni bluastri e l’estetica quasi eterea, crea un contrasto visivo potente con il soggetto della serie: non elementi naturali, ma frammenti della nostra società consumistica. L’artista prende così una tecnica storicamente associata alla documentazione botanica, e la reinventa per denunciare l’inquinamento.
L’obiettivo è chiaro: costringere l’osservatore a guardare oltre la bellezza dell’immagine per cogliere la gravità del problema ecologico. Le forme eleganti e i dettagli tessili resi dalla cianotipia ingannano inizialmente l’occhio, evocando forme vegetali. Ma l’illusione si infrange rapidamente: quegli oggetti non sono alghe, bensì i resti del nostro modo di vestire e consumare.
L’inquinamento della moda: un problema sommerso
Ogni anno, milioni di tonnellate di rifiuti tessili finiscono nell’ambiente. Gran parte di questi non viene riciclata o riutilizzata, ma abbandonata in natura, spesso vicino ai corsi d’acqua o direttamente in mare. Le coste britanniche — spesso considerate simbolo di bellezza e storia naturale — stanno diventando discariche a cielo aperto.
Barker racconta di come il suo primo ritrovamento fosse “un pezzo di stoffa attraente”, così simile a un’alga da indurla in errore. Ma ben presto le sue spedizioni si sono trasformate in un inventario di scarti della moda. Le sue immagini, sospese tra arte e denuncia, rendono visibile un problema invisibile: quello dell’inquinamento tessile marino.
Una riflessione sul nostro impatto
Attraverso il suo progetto, Barker ci invita a riflettere su cosa significhi davvero sostenibilità nella moda. La fast fashion, con il suo ciclo produttivo accelerato e il basso costo dei capi, è una delle industrie più inquinanti al mondo. I vestiti che buttiamo finiscono spesso dove non dovrebbero: in ecosistemi fragili come quello marino.
La fotografia diventa così uno strumento di consapevolezza. Le sue opere non vogliono solo documentare un fatto, ma scuotere le coscienze, stimolando una discussione urgente su produzione, consumo e spreco.
L’impatto emotivo del blu
Il blu profondo delle cianotipie non è solo un effetto estetico: richiama l’ambiente marino, il senso di profondità, ma anche di perdita. Queste immagini evocano un mare che soffre in silenzio, impregnato non solo di plastica, ma anche di tessuti che raccontano storie di trascuratezza.
C’è qualcosa di poetico — e allo stesso tempo disturbante — nel vedere una camicia scolorita trattata come una reliquia naturale. Ogni stampa è un piccolo promemoria di ciò che lasciamo dietro di noi, spesso senza pensarci.
Oltre la fotografia: un appello all’azione
Barker non si limita a creare immagini d’impatto: il suo lavoro è anche un atto politico. Denuncia la mancanza di regolamentazione sui rifiuti tessili, l’assenza di sistemi efficienti di raccolta e riciclo, ma anche la nostra complicità silenziosa nel perpetuare un modello insostenibile.
Chi osserva queste fotografie è chiamato a non voltarsi dall’altra parte. A chiedersi: che fine fanno i miei vestiti? Dove finiscono i tessuti che butto via?