Una scoperta che cambia la narrativa delle origini umane
Uno studio innovativo solleva dubbi sull’idea tradizionale secondo cui i nostri antenati abbiano iniziato a produrre strumenti in pietra attraverso l’intenzionale scheggiatura. La nuova ipotesi propone un inizio molto più semplice, ma altrettanto rivoluzionario: gli ominidi primitivi avrebbero potuto imparare a tagliare usando pietre affilate già disponibili in natura, modificando radicalmente il nostro modo di interpretare l’evoluzione tecnologica umana.
L’intuizione non nasce dal nulla
Per quanto sia affascinante immaginare un genio preistorico che, colpendo due sassi, scopre la prima lama, la realtà potrebbe essere stata molto più umile e casuale. Pietre naturalmente appuntite – chiamate naturaliti dai ricercatori – erano probabilmente comuni nei paesaggi africani dove vissero i primi ominidi. In alcuni casi, bastava che un torrente smuovesse le rocce, o che gli animali calpestassero il terreno, per produrre schegge affilate pronte all’uso.
Queste pietre, con bordi taglienti e una forma maneggevole, potrebbero aver fornito i primi strumenti da taglio. La presenza di questi oggetti avrebbe offerto agli ominidi un vantaggio immediato, rendendo possibile l’accesso a fonti di cibo più complesse, come carne e midollo, e facilitando la condivisione delle risorse all’interno del gruppo.
L’evoluzione della tecnologia: non un “Eureka”, ma un processo
Il team di ricerca contesta l’idea che l’uso degli strumenti sia nato da un colpo di genio. In realtà, non c’era motivo di fabbricare lame, finché non si era già sviluppata l’esigenza di tagliare qualcosa. È quindi possibile che l’imitazione e l’adattamento abbiano preceduto la creazione consapevole.
I naturaliti rappresenterebbero una fase pre-tecnologica, un terreno fertile che ha permesso agli ominidi di abituarsi agli strumenti prima di imparare a crearli. Un percorso logico: prima si usa quello che c’è, poi si cerca di replicarlo.
Prove nel paesaggio e nei sedimenti
I ricercatori indicano che questi strumenti naturali sono rintracciabili anche in regioni come l’Oman e l’Antartide, dove non ci sono segni di presenza umana preistorica. Questo conferma la formazione spontanea di pietre affilate e suggerisce che il paesaggio stesso fosse un laboratorio evolutivo.
Alcuni dei primi siti dove si trovano resti di carcasse lavorate o materiali vegetali trasformati si trovano proprio vicino a zone ricche di naturaliti, rafforzando l’idea che la tecnologia sia nata dall’ambiente, prima che dall’intelligenza creativa.
La soglia dell’uso secondario degli strumenti
Oggi sappiamo che molti animali usano strumenti, ma ciò che differenzia gli umani è la capacità di usare uno strumento per crearne un altro. Questo passaggio – noto come uso secondario – rappresenta una soglia evolutiva decisiva.
I naturaliti potrebbero aver costituito la palestra cognitiva perfetta per compiere questo salto. Migliaia di anni di utilizzo inconsapevole di strumenti naturali avrebbero formato le basi cognitive per l’invenzione intenzionale, preparando il terreno per un’evoluzione tecnica e mentale senza precedenti.
Cultura cumulativa e progresso condiviso
Oltre a riscrivere la storia tecnologica, questa teoria propone una visione più democratica del progresso. L’evoluzione culturale cumulativa, come la definisce il team, suggerisce che non fu un solo individuo a cambiare tutto, ma un lento accumulo di esperienze, tentativi, errori e osservazioni condivise.
Questa prospettiva sfida l’immagine dell’inventore solitario e premia l’intelligenza distribuita, dove anche l’ambiente gioca un ruolo attivo nell’innovazione. L’idea che le pietre affilate possano essere state la scintilla di tutto ciò rafforza il legame tra uomo e natura, e invita a guardare con occhi nuovi anche alle più piccole cose sotto i nostri piedi.