Un deserto, un tempo verde
L’attuale Deserto Saharo-Arabico, oggi considerato uno dei luoghi più inospitali del pianeta, non è sempre stato un mare di sabbia e siccità. Una recente ricerca ha analizzato 8 milioni di anni di storia climatica del cuore della Penisola Arabica e ha scoperto tracce di un passato sorprendentemente fertile. L’area, oggi segnata da temperature estreme e scarsità d’acqua, avrebbe attraversato diverse fasi umide capaci di trasformarla in un paesaggio verde e ospitale.
Quando l’Arabia era un corridoio verde
In netto contrasto con le teorie precedenti che suggerivano una siccità persistente negli ultimi 11 milioni di anni, nuove analisi delle stalagmiti all’interno di grotte saudite hanno fornito prove di intervalli climatici umidi. Questi momenti di “Arabia Verde” non solo avrebbero reso la regione vivibile, ma anche percorribile per fauna selvatica e primi esseri umani durante le loro migrazioni fuori dall’Africa.
Tracce di pioggia nelle grotte
Gli indizi chiave arrivano da depositi minerali all’interno delle grotte, formatisi nel tempo attraverso la lenta gocciolatura dell’acqua. Analizzando la composizione isotopica delle stalagmiti, il team internazionale di ricercatori ha potuto ricostruire i pattern climatici del passato, dimostrando che il deserto ha conosciuto più di un’epoca di rigoglio.
“Le fasi più umide coincidono con periodi in cui i monsoni si spingevano più a nord, portando piogge abbondanti e condizioni favorevoli alla vita,” spiegano i ricercatori. Questo avrebbe permesso la sopravvivenza di numerose specie, inclusi gli ominini, i nostri antichi parenti, che cercavano nuovi territori da esplorare.
Il ruolo dimenticato dell’Arabia
Fino a poco tempo fa, l’Arabia Saudita era un grande punto interrogativo nelle ricostruzioni delle migrazioni preistoriche tra Africa ed Eurasia. Oggi, grazie a queste nuove scoperte, sta emergendo come un crocevia fondamentale per la dispersione dei mammiferi e degli esseri umani. Una via di passaggio che, per millenni, è rimasta nascosta sotto le sabbie del tempo.
Secondo il team di ricerca, l’indebolimento graduale dell’influenza monsonica, unito all’espansione delle calotte glaciali nell’emisfero nord durante il Pleistocene, avrebbe progressivamente interrotto questi intervalli verdi, portando il deserto alle condizioni estreme che conosciamo oggi.
Archeologia, geologia e migrazione: un puzzle che si ricompone
Lo studio, tra i più completi mai pubblicati su questo tema, unisce dati geologici, archeologici e climatici per proporre un nuovo modello di migrazione umana. Le prove raccolte nelle grotte confermano che strumenti in pietra trovati nel deserto del Nefud, appartenenti a popolazioni preistoriche, sono coerenti con l’ipotesi di un’Arabia fertile e attraversabile.
Questa prospettiva rivoluziona la narrativa sulle origini dell’uomo moderno, suggerendo che le migrazioni verso l’Eurasia non si siano svolte solo attraverso il Corno d’Africa e il Levante, ma anche attraverso una Penisola Arabica occasionalmente verde, vivibile e attraversabile.