Una rivoluzione genetica che sfida la natura
Il recente annuncio della Colossal Biosciences, società biotecnologica con sede negli Stati Uniti, ha riacceso un acceso dibattito scientifico e mediatico. L’azienda sostiene di aver realizzato la prima “de-estinzione” della storia, ricreando un “lupo terribile” — un antico predatore estinto da oltre 10.000 anni — tramite modifica genetica dei lupi grigi, alterando 20 geni chiave. I cuccioli risultanti, partoriti da segugi surrogati, esibiscono tratti somatici riconducibili al canide preistorico, ma secondo gran parte degli esperti non sono veri lupi terribili, bensì ibridi moderni.
Beth Shapiro, responsabile scientifico di Colossal, ha chiarito che l’intento dell’azienda non è la replica perfetta ma la ricostruzione funzionale di specie estinte. Questo obiettivo ha un nome evocativo e controverso: de-estinzione.
De-estinzione: innovazione o illusione?
Il concetto di riportare in vita specie scomparse si scontra con interrogativi etici, ecologici e politici. Gli esperti sottolineano che, per quanto la tecnologia possa avanzare, essa non risolve le cause principali dell’estinzione: cambiamento climatico, perdita di habitat, sovrasfruttamento delle risorse naturali.
Secondo Ronald Sandler, direttore dell’Istituto di Etica della Northeastern University, ricreare un animale estinto ha senso solo se l’ecosistema è in grado di accoglierlo, un obiettivo spesso irrealizzabile. La Colossal non ha ancora piani per il rilascio in natura di questi esemplari, sebbene stia valutando scenari ecologici compatibili con il futuro “rewilding”.
Il rischio della “fantascienza conservazionista”
Molti scienziati temono che l’idea di poter “resuscitare” le specie induca un pericoloso senso di sicurezza, sminuendo l’urgenza di proteggere la biodiversità attuale. Un errore percettivo, secondo una ricerca del 2018, che potrebbe rallentare le politiche di tutela, incoraggiando l’idea che ogni danno alla natura sia reversibile.
Il segretario degli Interni, Doug Burgum, ha salutato la de-estinzione come una nuova frontiera della scienza, criticando apertamente l’Endangered Species Act (ESA), storica legge statunitense che tutela le specie minacciate. Questa posizione ha generato forti polemiche, evidenziando la crescente tensione tra conservazione ambientale e deregolamentazione promossa dall’ex amministrazione Trump.
Biotecnologia nella conservazione: applicazioni reali
La de-estinzione non è isolata. Il U.S. Fish and Wildlife Service ha già utilizzato con successo il clonaggio di furetti dai piedi neri, una specie in pericolo, per aumentarne la diversità genetica. Allo stesso modo, Colossal ha annunciato la clonazione di quattro lupi rossi, un’altra specie vulnerabile.
L’azienda, in collaborazione con organizzazioni ambientaliste come Save the Elephants e WildArk, e con il supporto di 132 scienziati e 40 postdoc, esplora applicazioni concrete della genetica avanzata nella conservazione moderna. Tuttavia, questi sforzi, per quanto avanzati, restano confinati a contesti controllati, ben lontani da un reale ritorno alla natura.
Le domande cruciali ancora irrisolte
Christopher Preston, filosofo ambientale dell’Università del Montana, ha messo in discussione l’efficacia del reinserimento di predatori come i lupi terribili in un contesto sociale già polarizzato. Nei Rocky Mountains, la gestione dei lupi grigi è già fonte di conflitti profondi tra ambientalisti, agricoltori e autorità locali.
Infine, resta il problema dei costi a lungo termine: Phil Seddon ha cofirmato uno studio che denuncia come le risorse spese per la de-estinzione potrebbero drenare i fondi destinati alla protezione delle specie attualmente a rischio.
Tecnologia spettacolare, ma non sostitutiva
Mentre i media celebrano il ritorno del “lupo di Game of Thrones”, molti accademici ricordano che la vera domanda non è se questa operazione sia affascinante, ma se contribuisca realmente a contrastare l’emergenza della sesta estinzione di massa. La biotecnologia può essere uno strumento potente, ma senza politiche ambientali solide e protezione degli habitat, rimane una distrazione spettacolare più che una soluzione reale.
Come ha affermato la stessa Shapiro: “La de-estinzione non è una bacchetta magica. Ma potrebbe offrire strumenti utili per adattare le specie al cambiamento dell’habitat”. Un’affermazione che riecheggia le parole di molti: innovare sì, ma con responsabilità.