Tra scienza e suggestione: cosa c’è davvero dietro ai “nuovi lupi giganti”
Il sogno di riportare in vita specie estinte ha sempre affascinato l’immaginario collettivo, alimentato da cinema, narrativa e ora – forse – anche dalla scienza. Negli ultimi mesi, l’attenzione del web si è concentrata su un annuncio sorprendente: la presunta rinascita del lupo gigante preistorico, noto come Aenocyon dirus. Ma le cose sono davvero come sembrano?
Tre cuccioli bianchi e il potere del marketing genetico
La notizia è rimbalzata ovunque: una società biotecnologica americana ha presentato al mondo Romulus, Remus e Kaleesi, tre cuccioli di lupo nati da modifiche genetiche mirate su esemplari di lupo grigio. A colpire è soprattutto l’aspetto: pelliccia bianca, tratti accentuati, e quel nome evocativo – lupo gigante. Ma sotto la superficie spettacolare, la realtà è decisamente più complessa.
Secondo quanto dichiarato dall’azienda, si tratta del primo caso documentato di de-estinzione nella storia umana. Tuttavia, la comunità scientifica è ben più cauta nel celebrare l’evento.
Una questione di definizioni (e illusioni)
Le critiche principali riguardano la definizione stessa di specie. I lupi giganti, ormai estinti da migliaia di anni, sono geneticamente differenti dai lupi grigi moderni. Studi del DNA suggeriscono una separazione evolutiva avvenuta oltre 5 milioni di anni fa, senza interazioni genetiche successive. Questo significa che anche piccole modifiche sul genoma del lupo grigio non possono tecnicamente ricreare un lupo gigante autentico.
Beth Shapiro, evoluzionista coinvolta nel progetto, ha proposto una definizione funzionale della specie: se un animale si comporta come una specie estinta, ne riprende l’aspetto e il ruolo ecologico, allora può considerarsi parte di quella specie. Una visione affascinante, ma che molti esperti vedono più vicina alla narrazione che alla scienza.
Una trasformazione più estetica che evolutiva
Gli scienziati della società hanno ammesso di aver operato solo 20 modifiche genetiche su oltre 2,5 miliardi di coppie di basi nel DNA del lupo grigio. Di queste, cinque influenzano il colore del mantello, rendendolo chiaro. È davvero sufficiente questo per parlare di de-estinzione?
Jeremy Austin, genetista dell’Australian Centre for Ancient DNA, non ha dubbi: “Hai un lupo grigio bianco. Questo non è un lupo gigante, sotto nessuna definizione scientifica esistente.”
La critica più forte è che si stia vendendo un risultato simbolico come un trionfo scientifico. Una trovata pubblicitaria potente, certo, ma priva di fondamento evolutivo.
De-estinzione o ingegneria creativa?
Nonostante le controversie, gli esperimenti di ingegneria genetica come questo rappresentano un importante banco di prova per futuri interventi di conservazione. Le tecnologie sviluppate potrebbero avere impatti reali nel salvataggio di specie in via d’estinzione, nella comprensione dei meccanismi genetici e nello studio dell’evoluzione.
Tuttavia, confondere un lupo grigio modificato con un animale estinto rischia di svuotare di significato la parola “de-estinzione”. Riportare in vita una specie non è solo questione di DNA: servono il contesto ecologico originario, le dinamiche comportamentali, l’interazione con l’ambiente – tutti fattori che non possono essere sintetizzati in laboratorio.
Cosa significa davvero “riportare indietro” una specie?
Un altro aspetto cruciale è il ruolo ecologico. Anche se questi nuovi lupi fossero perfettamente identici ai loro antenati, ha senso reintrodurli in un mondo che è profondamente cambiato? Gli ecosistemi del Pleistocene non esistono più. I lupi giganti cacciavano in un ambiente dominato da mammut, bradipi giganti e altre specie oggi scomparse. Inserirli nel mondo attuale potrebbe generare squilibri, o ridurli semplicemente a curiosità da esposizione.
Il paragone ironico fatto da Austin è emblematico: “È un po’ come quei cani dipinti per sembrare panda in certi zoo.” Una trovata visiva, ma priva di vera sostanza scientifica.