Il controllo del fuoco: una svolta evolutiva decisiva
La capacità di manipolare il fuoco ha rappresentato un momento cruciale per gli antichi esseri umani, trasformando radicalmente la loro esistenza. Secondo una nuova ricerca pubblicata su Geoarchaeology, i nostri antenati riuscivano a cucinare il cibo, illuminare la notte e, soprattutto, sopravvivere agli inverni glaciali, risalendo questa abilità a oltre un milione di anni fa. Nonostante il fuoco fosse essenziale in ogni epoca, il Massimo Glaciale (LGM), durato tra 26.500 e 19.000 anni fa, rappresentava un contesto in cui il suo uso avrebbe dovuto essere ancora più diffuso.
La sorprendente scarsità di focolari durante il Massimo Glaciale
Nonostante il freddo estremo che imperversava in Europa, i resti archeologici mostrano pochissimi focolari associati a questo periodo. Una contraddizione che ha acceso il dibattito tra i ricercatori: il fuoco era ovunque prima e dopo l’LGM, eppure durante il suo apice sembrava scomparso. Secondo l’équipe dell’Università dell’Algarve e dell’Università di Vienna, il clima rigido potrebbe aver impedito la crescita di alberi, rendendo la legna scarsa. In alternativa, i duri processi di congelamento e scongelamento del suolo avrebbero potuto distruggere gran parte delle prove archeologiche, sollevando il sospetto che il fenomeno della scarsità sia, in parte, il risultato di bias di pubblicazione contemporanei.
I focolari di Korman’ 9: una finestra sulla pirotecnologia paleolitica
Il sito archeologico di Korman’ 9, lungo il fiume Dniester in Ucraina, ha restituito tre antichi focolari datati all’LGM, analizzati con tecniche avanzate come microstratigrafia, micromorfologia e colorimetria. Questi focolari, piatti e aperti, erano alimentati prevalentemente da legno di abete rosso, raggiungendo temperature capaci di riscaldare il terreno fino a 600 gradi Celsius, suggerendo una competenza notevole nella gestione del fuoco.
Sorprendentemente, i resti mostrano tracce di ossa bruciate, il cui ruolo è ancora dibattuto: potrebbero essere state usate come combustibile alternativo o semplicemente finite accidentalmente nelle fiamme. Questa scoperta, come sottolineato dalla zooarcheologa dell’Università di Vienna, apre nuove ipotesi sulle strategie di sopravvivenza durante l’ultima era glaciale.
Le implicazioni delle occupazioni stagionali
Le differenze osservate tra i tre focolari di Korman’ 9 suggeriscono che il sito potrebbe essere stato frequentato in momenti distinti, forse anche a distanza di secoli, oppure utilizzato in modo differenziato durante diverse stagioni da comunità di cacciatori-raccoglitori. I dati indicano una padronanza consapevole del fuoco, impiegato con modalità diverse in base agli obiettivi e alle necessità contingenti.
Le domande ancora aperte sul fuoco nell’era glaciale
Nonostante le scoperte a Korman’ 9 abbiano chiarito che il fuoco non era scomparso, rimane il mistero della sua apparente rarità nei resti del Massimo Glaciale. È possibile che le prove siano state cancellate da millenni di eventi naturali o che la scarsità di combustibile abbia limitato l’uso del fuoco in certi luoghi. Alcuni studiosi ipotizzano anche che, in alcuni casi, le popolazioni avessero sviluppato alternative tecnologiche al fuoco stesso.
Questa ricerca offre uno sguardo senza precedenti sulla resilienza e sull’ingegno degli esseri umani preistorici, costretti a sopravvivere in un mondo dominato dal ghiaccio e dalla scarsità.