Un nuovo studio danese rilancia il dibattito sull’effetto della pillola sull’umore delle neomamme
Un’indagine recente ha riacceso l’attenzione su una possibile connessione tra contraccettivi ormonali e depressione postpartum, sollevando dubbi e domande sia tra i professionisti della salute che tra le donne che affrontano la maternità. Lo studio, condotto in Danimarca su un campione imponente di oltre 600.000 donne, suggerisce un lieve aumento del rischio di depressione tra coloro che iniziano ad assumere contraccettivi ormonali entro un anno dal parto. Tuttavia, i risultati vanno interpretati con cautela.
Cosa dice lo studio
Secondo i dati, le donne che fanno uso di contraccettivi orali combinati – ovvero pillole che contengono sia estrogeni che progestinici – entro dodici mesi dalla nascita del figlio, presentano una probabilità 1,7 volte superiore di ricevere una diagnosi di depressione o una prescrizione di antidepressivi rispetto a chi non utilizza metodi ormonali.
Questa associazione sembra essere più marcata nelle fasi iniziali del postpartum, e tende ad attenuarsi nel tempo. Un dato interessante riguarda l’assenza di una correlazione diretta con l’età: diversamente da quanto indicato da studi precedenti sugli adolescenti, il rischio non aumenta tra le donne più giovani, ma pare piuttosto legato alla finestra fisiologica e ormonale del post parto.
Rischio relativo vs rischio assoluto
Nonostante i numeri possano sembrare allarmanti, è essenziale fare una distinzione tra rischio relativo e rischio assoluto. Nello specifico, il rischio assoluto di depressione è stato dell’1,54% tra le utilizzatrici di contraccettivi ormonali, rispetto all’1,36% tra chi non li ha assunti. In termini pratici, la differenza è di soli 0,18 punti percentuali, un divario statistico molto ridotto.
Inoltre, il modo in cui è stata misurata la depressione – tramite diagnosi ospedaliera o prescrizione farmacologica – non tiene conto della complessità dei sintomi e potrebbe non riflettere con precisione il reale stato psicologico delle pazienti.
Fattori di vulnerabilità
Lo studio apre una riflessione su chi potrebbe essere più vulnerabile agli effetti ormonali. Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, le donne senza una storia pregressa di disturbi dell’umore sembrano essere a maggiore rischio. Una possibile spiegazione è che queste donne siano meno monitorate dal punto di vista psicologico, oppure che l’impatto degli ormoni sia più marcato su organismi non precedentemente esposti a scompensi simili.
Si ipotizza anche che il cervello nel periodo postpartum attraversi un momento di particolare plasticità e sensibilità, simile a quanto accade durante l’adolescenza. In questa fase, l’organismo si sta ancora adattando ai drastici cambiamenti ormonali della gravidanza e del parto, e l’introduzione di ormoni esogeni può interferire con questi processi.
Il dibattito scientifico resta aperto
Sebbene i dati suggeriscano una possibile correlazione tra contraccezione ormonale e depressione post parto, gli esperti sottolineano che lo studio è osservazionale e quindi non può stabilire un rapporto causale diretto. Inoltre, alcune variabili importanti non sono state prese in considerazione: ad esempio, l’esperienza di precedenti gravidanze o la presenza di fattori ambientali o sociali che potrebbero influenzare lo stato mentale.
Gli antidepressivi, poi, possono essere prescritti per motivi diversi dalla depressione, come l’ansia o i disturbi del sonno, e ciò potrebbe influenzare l’interpretazione dei risultati.
Un equilibrio tra benefici e rischi
La contraccezione ormonale offre benefici concreti in termini di pianificazione familiare, salute riproduttiva e qualità della vita. Per questo motivo, modificare le linee guida sull’uso della pillola nel periodo post parto solo sulla base di questi dati non è giustificato. Tuttavia, è fondamentale che medici e pazienti siano consapevoli di questi potenziali effetti collaterali, soprattutto per poter monitorare con maggiore attenzione l’umore delle neomamme nelle prime settimane dopo il parto.
Anche se il rischio è piccolo, parlarne significa prendere sul serio la salute mentale femminile, troppo spesso trascurata o banalizzata. L’obiettivo non deve essere demonizzare la contraccezione, ma migliorare la qualità delle informazioni e la personalizzazione delle cure.