Migrazione dei salmoni sconvolta da un sedativo comune
Nei fiumi della Svezia centrale, un esperimento ha rivelato un fenomeno sorprendente: tracce minime di clobazam, un sedativo usato per trattare insonnia e ansia, modificano in modo significativo il comportamento del salmone atlantico (Salmo salar). Questo farmaco, introdotto involontariamente nell’ambiente attraverso scarichi fognari e industriali, non viene completamente rimosso dai sistemi di trattamento delle acque e finisce nei corsi d’acqua, con effetti imprevedibili sulla fauna.
Il salmone si muove più velocemente… ma è un bene?
Durante un ampio studio sul campo lungo il fiume Dal, i ricercatori hanno rilasciato clobazam nell’acqua e tracciato i movimenti dei giovani salmoni migratori attraverso mini trasmettitori. Il risultato? I pesci esposti al farmaco hanno mostrato un aumento significativo del successo migratorio, raggiungendo il Mar Baltico in maggior numero e in tempi più brevi. Hanno attraversato dighe idroelettriche—che solitamente ostacolano la migrazione—con maggiore rapidità rispetto ai pesci non trattati.
Alterazioni sociali e comportamenti a rischio
Analisi in laboratorio hanno confermato che il clobazam altera la dinamica sociale dei salmoni, in particolare durante situazioni di pericolo. Il comportamento di assembramento, fondamentale per evitare i predatori, risulta modificato: i pesci si muovono diversamente in gruppo, suggerendo che l’effetto del farmaco agisca direttamente sul cervello, dove i recettori umani colpiti dal clobazam sono presenti anche in molte specie animali.
Effetti a catena sugli ecosistemi
Anche se in apparenza positivo, l’aumento del successo migratorio potrebbe scompensare gli equilibri naturali. Cambiamenti nei tempi di migrazione potrebbero portare i salmoni a trovarsi nel mare in condizioni sfavorevoli o esporli a nuovi predatori. Nel lungo periodo, questi sottili spostamenti comportamentali potrebbero compromettere l’intera catena ecologica.
Farmaci nei fiumi: un fenomeno globale
Oltre al clobazam, oltre 1.000 principi attivi sono stati rilevati negli ecosistemi acquatici in tutto il mondo, Antartide compresa. Gli scarichi domestici, lo smaltimento improprio e i residui industriali contribuiscono a questa forma di inquinamento poco visibile ma estremamente pervasiva. Molti di questi farmaci agiscono su recettori cerebrali che esistono anche in pesci, uccelli e mammiferi, rendendo le specie selvatiche vulnerabili agli stessi effetti.
Verso soluzioni sostenibili
La tecnologia di trattamento avanzato delle acque reflue, come l’ozonizzazione, rappresenta un’opzione promettente, seppur costosa. Un’alternativa ancora più lungimirante è la chimica verde, che punta a creare farmaci più biodegradabili e meno persistenti nell’ambiente. I ricercatori sottolineano l’urgenza di introdurre regolamenti più rigidi e di promuovere pratiche corrette di smaltimento per evitare che i medicinali finiscano nei nostri fiumi.
Integrare scienza, innovazione e politiche ambientali è oggi essenziale per salvaguardare la fauna acquatica e l’equilibrio degli ecosistemi naturali, minacciati da ciò che, spesso inconsapevolmente, scarichiamo nei nostri lavandini.