Cosa si nasconde davvero sotto il mare?
Quando immagini il fondo dell’oceano, probabilmente pensi a relitti, squali o ai misteriosi abisso marini. Ma tra le onde e i sedimenti si cela un protagonista invisibile della crisi climatica: il carbonio blu. Una risorsa potente, eppure ancora poco compresa, che potrebbe essere la nostra salvezza… o il nostro errore più grave se ignorata.
Che cos’è il carbonio blu?
Il carbonio blu è il carbonio catturato e immagazzinato negli ecosistemi marini e costieri, come:
- Mangrovie
- Praterie di erba marina
- Paludi salmastre
- Foreste di kelp
Questi ambienti funzionano come vere e proprie “centrali di sequestro” del carbonio, in grado di assorbire CO₂ atmosferica con un’efficienza sorprendente. Le paludi salmastre, ad esempio, possono sequestrare carbonio fino a 55 volte più rapidamente rispetto alle foreste terrestri.
E l’erba marina? Anche se occupa meno dello 0,1% dei fondali oceanici, è responsabile del 10-18% del carbonio immagazzinato negli oceani. Una vera supereroina ecologica.
Un potenziale gigantesco, nascosto nel silenzio
La potenza del carbonio blu non risiede solo nella velocità con cui cattura la CO₂, ma anche nella durata del suo stoccaggio. Nei sedimenti marini, il carbonio può rimanere intrappolato per millenni. Questo lo rende una risorsa cruciale per contrastare il cambiamento climatico a lungo termine.
Studi recenti hanno dimostrato che gli ecosistemi costieri possono seppellire carbonio a un tasso 10 volte maggiore rispetto agli ecosistemi terrestri. Ma c’è un lato oscuro.
Il paradosso: il rischio di liberare ciò che era intrappolato
Distruggere questi habitat, anche solo parzialmente, significa rilasciare nell’atmosfera enormi quantità di CO₂ che erano state accumulate per secoli o millenni. Il caso della Jamaica Bay negli Stati Uniti è emblematico: dal 1885 al 2019 ha perso il 95% del carbonio immagazzinato nelle sue zone umide, emettendo l’equivalente delle emissioni di 4,5 milioni di auto in un solo anno.
E il fenomeno è globale: in Europa si è perso oltre il 50% delle praterie di erba marina e delle paludi salmastre, mentre più della metà delle mangrovie mondiali è minacciata di collasso.
Protezione o perdita: una corsa contro il tempo
Il valore ecologico di questi habitat è ormai riconosciuto anche a livello politico e scientifico. Il termine “carbonio blu” è stato coniato solo nel 2009, ma in poco tempo ha guadagnato spazio nelle valutazioni di impatto ambientale, soprattutto per lo sviluppo delle energie rinnovabili marine.
Un punto di svolta è arrivato nel 2024, quando il Regno Unito ha completato la prima mappatura su larga scala del carbonio nei sedimenti marini: 244 milioni di tonnellate di carbonio nei soli 10 cm superiori del fondale, più della metà delle emissioni annuali del Paese nel 2022.
La nuova frontiera del credito di carbonio blu
Il crescente interesse ha attirato anche il mondo della finanza climatica. I crediti di carbonio blu stanno emergendo come strumenti per compensare le emissioni, con il primo progetto finanziato nel 2022 da un’azienda di acquacoltura per ripristinare una foresta di kelp.
Ma ci sono ancora molti interrogativi:
- Come garantire che il carbonio rimanga sepolto a lungo termine?
- Come evitare che tempeste, innalzamento del mare o attività umane rilascino di nuovo la CO₂?
- Come bilanciare la protezione della biodiversità con lo sviluppo industriale?
Saperlo è un dovere, agire è una scelta
Proteggere e ripristinare gli habitat di carbonio blu può rimuovere fino al 3% delle emissioni globali annuali. Non sembra molto, ma è un impatto enorme se consideriamo che si tratta solo di una piccola parte del nostro pianeta.
Ora che il segreto è svelato, abbiamo due strade: ignorarlo, continuando a distruggere questi ecosistemi cruciali… o sfruttarlo in modo etico e intelligente, facendo del carbonio blu un alleato nella lotta al cambiamento climatico.
La decisione spetta a noi. Vogliamo affondare o nuotare?