Nuove evidenze neurologiche mettono in discussione la sicurezza dell’uso ricreativo di cannabis
L’uso regolare e intensivo di cannabis potrebbe avere effetti più gravi sul cervello di quanto finora immaginato. Una recente ricerca condotta con tecniche di neuroimaging avanzato ha rivelato un’associazione diretta tra l’abuso di questa sostanza e alterazioni in specifiche aree cerebrali coinvolte nella regolazione della dopamina. Queste modifiche sono visibili come vere e proprie macchie nere nel cervello, un segnale che potrebbe rappresentare una spia precoce del rischio di sviluppare disturbi psicotici come la schizofrenia.
Le aree cerebrali coinvolte: substantia nigra e VTA
Lo studio ha concentrato l’attenzione su due regioni cruciali del cervello: la substantia nigra (SN) e l’area tegmentale ventrale (VTA), entrambe responsabili della produzione e distribuzione della dopamina, un neurotrasmettitore chiave per il controllo dell’umore, della motivazione e delle funzioni cognitive. Un’eccessiva produzione di dopamina in queste aree è già stata correlata in passato alla schizofrenia.
Attraverso la risonanza magnetica sensibile alla neuromelanina, i ricercatori hanno identificato un aumento della pigmentazione scura in queste regioni cerebrali in soggetti con disturbo da uso di cannabis. Queste “macchie nere” sono causate dall’accumulo di neuromelanina, una sostanza che si forma in risposta a livelli eccessivi di dopamina.
Il collegamento tra quantità di cannabis e alterazioni cerebrali
Nel campione studiato, composto da 61 individui (di cui 25 con diagnosi di disturbo da uso di cannabis), è emerso che l’entità delle macchie scure era direttamente proporzionale alla quantità di cannabis consumata. In altre parole, maggiore era l’uso della sostanza, più marcate risultavano le alterazioni rilevate nel cervello.
Ma il dato più allarmante riguarda il fatto che queste anomalie erano presenti anche in soggetti che non avevano mai manifestato episodi psicotici. Tuttavia, tra coloro che avevano già sperimentato un evento psicotico, l’effetto risultava amplificato: il livello di pigmentazione era due volte più alto rispetto a chi non aveva mai mostrato sintomi psicotici.
“Macchie nere” e cervello che invecchia prima
Secondo i ricercatori, l’intensità della neuromelanina osservata in alcuni soggetti con uso pesante di cannabis era superiore a quella che ci si aspetterebbe da persone anche di dieci anni più anziane. Questo dato suggerisce un possibile effetto neurodegenerativo accelerato, simile a un invecchiamento precoce delle aree cerebrali coinvolte.
Perché questi risultati sono importanti
Lo studio offre per la prima volta una prova diretta del meccanismo biologico che collega la cannabis alla psicosi, tracciando un percorso chiaro che parte dall’aumento di dopamina e termina con l’insorgenza di disturbi mentali. In passato, le prove erano per lo più indirette, basate su correlazioni epidemiologiche o testimonianze cliniche. Ora, grazie all’imaging cerebrale, è possibile osservare le conseguenze visibili e misurabili dell’uso cronico di cannabis sul cervello umano.
Implicazioni per la salute pubblica e la prevenzione
Questi risultati arrivano in un momento in cui il dibattito sulla legalizzazione della cannabis è più acceso che mai. Se da un lato l’uso medico della sostanza ha mostrato benefici in alcune condizioni specifiche, dall’altro i dati suggeriscono che l’uso ricreativo prolungato e non controllato può comportare rischi neurologici importanti, in particolare nei giovani e nei soggetti geneticamente predisposti.
I ricercatori sottolineano l’importanza di una maggiore consapevolezza tra i clinici, i pazienti e le famiglie, affinché si possano adottare strategie preventive più efficaci e riconoscere precocemente i segni di una possibile vulnerabilità psicotica legata al consumo di cannabis.