Soluzioni biologiche per l’architettura lunare
Nella corsa alla conquista dello spazio, un nuovo studio suggerisce che il futuro delle costruzioni lunari potrebbe essere scritto non solo da ingegneri e astronauti, ma anche da… batteri. Utilizzare mattoni di regolite — la polvere che ricopre la superficie della Luna — è una delle strategie più promettenti per edificare avamposti permanenti. Ma ora, la scienza si spinge oltre: non solo costruzione, ma anche manutenzione automatizzata, grazie a microorganismi terrestri capaci di autoriparare le strutture lunari.
Perché usare materiali lunari?
Costruire sulla Luna comporta sfide logistiche enormi. Trasportare materiali dalla Terra è incredibilmente costoso, ecco perché l’utilizzo di risorse locali, come la regolite lunare, è essenziale per ridurre i costi. Diversi gruppi di ricerca, come quello dell’Indian Institute of Science (IISc), hanno sviluppato mattoni compatti utilizzando simulanti di regolite per test in laboratorio, dato che i campioni originali lunari sono rari e preziosi.
Mattoni viventi: come funziona la bio-cementazione
Il team indiano ha scoperto che un batterio terrestre chiamato Sporosarcina pasteurii può trasformare l’urea e il calcio in carbonato di calcio, creando una sorta di “cemento biologico”. Combinato con gomma di guar — un legante naturale derivato dai fagioli — questo composto riesce a legare insieme le particelle di regolite, formando mattoni solidi.
Una volta testata questa tecnica, gli scienziati hanno esplorato anche la sinterizzazione, un processo di riscaldamento ad alte temperature con alcol polivinilico per creare mattoni ancora più resistenti. Tuttavia, l’ambiente lunare è estremamente ostile: le temperature spaziano da +121°C a -133°C e i materiali devono sopravvivere a stress termici, micrometeoriti e radiazioni cosmiche.
L’idea rivoluzionaria: batteri per riparare le crepe
Con l’osservazione che i mattoni sinterizzati, pur essendo robusti, possono rompersi facilmente, i ricercatori hanno pensato di usare nuovamente Sporosarcina pasteurii, questa volta per riparare i danni piuttosto che costruire.
Hanno creato fessure artificiali nei mattoni e applicato una miscela chiamata slurry, contenente batteri, gomma di guar e simulante di regolite. Dopo alcuni giorni, i batteri hanno:
- Prodotto carbonato di calcio, riempiendo le crepe.
- Generato biopolimeri, legando il nuovo materiale al mattone esistente.
Il risultato? I mattoni recuperano fino al 54% della resistenza compressiva originaria, rendendo la struttura nuovamente utilizzabile, anche se non come nuova.
Una sfida extraterrestre: i batteri sopravvivranno?
Tutto questo è stato fatto in laboratorio, ma la Luna non è un ambiente amichevole. La grande incognita è se Sporosarcina pasteurii riuscirà a sopravvivere e funzionare anche in assenza di gravità, sotto radiazioni intense e temperature estreme.
Per rispondere a questa domanda, gli scienziati propongono di includere un esperimento con questi batteri nella missione spaziale indiana Gaganyaan, prevista per il 2026. Se accettata, questa missione porterà per la prima volta un campione biologico di questo tipo nello spazio, per testarne il comportamento fuori dalla Terra.
Il futuro delle città lunari passa per il microbioma
L’uso di batteri intelligenti per la manutenzione edilizia nello spazio apre la strada a un paradigma completamente nuovo. Invece di inviare ogni volta materiali di ricambio dalla Terra, potremmo un giorno avere colonie batteriche permanenti integrate nelle infrastrutture lunari, capaci di monitorare e riparare autonomamente danni strutturali. Un sistema auto-rigenerante, ispirato ai processi biologici della Terra, ma applicato all’architettura spaziale.
Con le missioni lunari sempre più vicine, l’integrazione tra biotecnologia e ingegneria spaziale potrebbe rivelarsi la chiave per costruire avamposti resilienti e autonomi, segnando un passo decisivo verso l’espansione dell’umanità nello spazio.