Un possibile nuovo trattamento per la malattia di Alzheimer potrebbe arrivare da una scoperta sorprendente: un composto naturale presente nel rosmarino e nella salvia. L’acido carnosico, noto per le sue proprietà antiossidanti e antinfiammatorie, ha attirato l’attenzione degli scienziati, anche se la sua instabilità ne ha limitato l’applicazione. Ora, un gruppo di ricercatori in California ha sviluppato un derivato più stabile di questa sostanza, con risultati promettenti nei test condotti su modelli murini affetti dalla malattia.
Il derivato stabile e i suoi effetti nel cervello
Il composto modificato, noto come diAcCA, è stato somministrato ai topi affetti da Alzheimer per un periodo di tre mesi. Gli effetti sono stati straordinari: miglioramenti nella memoria, incremento delle sinapsi neuronali, riduzione dei livelli di infiammazione e un’efficace eliminazione delle proteine tossiche associate alla malattia. Questo è particolarmente significativo, considerando che il morbo di Alzheimer distrugge una vasta percentuale di sinapsi, compromettendo le connessioni tra i neuroni e provocando una progressiva perdita di memoria.
Osservazioni al microscopio hanno mostrato differenze evidenti tra il cervello di un topo con Alzheimer non trattato e quello di un topo sottoposto alla terapia con diAcCA. Nelle immagini, un’intensa colorazione verde indica un maggiore numero di sinapsi, segno di una rigenerazione delle connessioni neuronali.
Parla il neuroscienziato Stuart Lipton
Lo scienziato Stuart Lipton, del Scripps Research Institute, ha dichiarato: “Abbiamo condotto diversi test di memoria e tutti hanno mostrato un netto miglioramento con il farmaco. Non solo ha rallentato il declino cognitivo, ma ha effettivamente riportato le capacità dei topi ai livelli normali.”
Uno dei problemi principali nella sperimentazione dell’acido carnosico è sempre stato la sua instabilità. Tuttavia, i ricercatori sono riusciti a risolvere questa criticità attraverso la diacetilazione, ottenendo una versione più duratura della molecola. Una volta ingerito, il diAcCA viene trasformato nell’intestino in acido carnosico, che entra nel flusso sanguigno con un tasso di assorbimento superiore del 20% rispetto alla versione naturale. Entro un’ora, il composto ha raggiunto livelli terapeutici nel cervello, confermando la sua efficacia potenziale.
Un possibile nuovo alleato contro il declino cognitivo
Nei test di memoria e nelle prove di apprendimento, i topi trattati con diAcCA hanno ottenuto risultati superiori rispetto a quelli che avevano ricevuto un placebo. Inoltre, il composto non ha mostrato effetti tossici, mentre la presenza di proteine dannose, come l’amiloide beta e la tau fosforilata, è risultata notevolmente ridotta. Questi accumuli proteici sono noti per essere tra i principali responsabili della progressione del morbo di Alzheimer.
Secondo Lipton, il trattamento non solo ha incrementato il numero di sinapsi, ma ha anche ridotto la presenza di altre proteine mal ripiegate, un fattore chiave nello sviluppo della neurodegenerazione.
Quali sono le prospettive future?
Nonostante i risultati entusiasmanti, lo studio è ancora nelle fasi preliminari. Saranno necessari test clinici per confermare se gli effetti osservati nei topi possano verificarsi anche negli esseri umani. Tuttavia, gli scienziati sono fiduciosi, poiché le proprietà antinfiammatorie dell’acido carnosico sono già state documentate in studi precedenti.
Se confermato, il diAcCA potrebbe rivelarsi utile non solo contro l’Alzheimer, ma anche in altre patologie legate all’infiammazione, come il morbo di Parkinson e il diabete di tipo 2. Inoltre, potrebbe essere combinato con le terapie già esistenti per migliorarne l’efficacia e ridurne gli effetti collaterali.
Lipton ha sottolineato che questo composto, essendo una modifica di una molecola naturale già considerata sicura, potrebbe essere sviluppato rapidamente come trattamento medico. “Potrebbe migliorare l’efficacia dei farmaci attuali per l’Alzheimer e ridurre le loro reazioni avverse,” ha concluso lo scienziato.
La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Antioxidants, e apre nuove prospettive nella lotta contro una delle malattie neurodegenerative più devastanti del nostro tempo.