Un albero di palma da dattero, ormai secco da quasi cento anni, ha contribuito a risolvere un enigma genetico che da tempo appassionava gli studiosi. La celebre palma da datteri di Capo Verde, conosciuta scientificamente come Phoenix atlantica, non sarebbe una specie selvatica originaria dell’arcipelago, ma il risultato di palme coltivate che nel corso dei secoli si sono adattate e diffuse in ambienti naturali.
Un team di ricercatori ha esaminato il DNA di esemplari provenienti dalle isole dell’arcipelago situato al largo della costa occidentale dell’Africa, insieme a campioni storici risalenti al 1934, quando un botanico francese raccolse i primi semi di quella che si credeva fosse una specie autonoma.
Dai risultati pubblicati l’11 febbraio sulla rivista scientifica Plants, People, Planet, emerge che queste palme sarebbero in realtà strettamente legate alla ben più conosciuta Phoenix dactylifera, la palma da dattero più diffusa e coltivata al mondo. Gli esemplari di Capo Verde deriverebbero quindi da semi sfuggiti alle coltivazioni umane, che hanno trovato condizioni favorevoli per crescere sulle sabbie aride e i terreni secchi delle isole.
Secondo il biologo evoluzionista Jerónimo Cid Vian, che collabora con i Royal Botanic Gardens di Kew in Inghilterra e la Bangor University in Galles, tutto potrebbe essere iniziato da pochi semi trasportati dal vento, dagli uccelli o dalle attività umane. Questo processo naturale avrebbe permesso la diffusione spontanea di palme apparentemente selvatiche, ma con origini domestiche.
La scoperta apre interrogativi sulla necessità di modificare il nome scientifico della palma di Capo Verde. Attualmente identificata come una specie distinta, potrebbe essere invece una semplice variante della palma da dattero comune. Tuttavia, la questione non è solo tassonomica, ma coinvolge anche il valore culturale, ambientale e simbolico che questa pianta rappresenta per gli abitanti di Capo Verde.
La natura raramente si lascia incasellare in definizioni rigide. Come sottolinea lo stesso Cid Vian, le regole scolastiche secondo cui una specie si definisce in base alla possibilità di generare prole fertile spesso non si applicano a sistemi biologici complessi, dove i confini tra specie si sfumano e si confondono.
La presenza di un “cugino selvatico” delle palme coltivate potrebbe rappresentare una risorsa genetica preziosa per gli agricoltori. In un contesto di cambiamento climatico e malattie in aumento, queste varianti adattate a condizioni estreme potrebbero offrire nuove opportunità per la protezione delle coltivazioni di datteri in tutto il mondo.
Intanto, gli studiosi stanno collaborando con i tassonomisti, i conservazionisti e la popolazione di Capo Verde per decidere il futuro classificatorio di questa palma tanto amata quanto misteriosa. Perché, come suggerisce con ironia Cid Vian, nessuno vorrebbe che un visitatore alieno arrivasse sulla Terra e classificasse indistintamente gattini e scarafaggi sotto lo stesso nome.