La rivoluzione genetica parte dai topi e guarda al passato
Nel cuore di Dallas, il team di Colossal Biosciences ha dato vita a una creazione sorprendente: 32 topi transgenici con un aspetto tanto insolito quanto adorabile, coperti da una pelliccia lunga, dorata e arruffata che ricorda quella dei mammut lanosi. Questo non è il ritorno dei mammut, ma rappresenta un passo concreto verso l’ambizioso obiettivo della de-estinzione.
Otto modifiche genetiche in un solo esperimento
Gli scienziati hanno introdotto otto alterazioni in sette geni contemporaneamente, ottenendo risultati ripetibili e senza errori. I geni selezionati sono legati a tratti come lunghezza del pelo, colore biondo e struttura arruffata, tutti elementi distintivi del mammut. Tra questi, FGF5 è noto per influenzare la crescita del pelo, Mc1r per la pigmentazione chiara e Frzd6 per la texture ondulata.
Nessun gene di mammut nei topi: la verità dietro l’esperimento
Nonostante alcune interpretazioni errate, i Colossal woolly mice non contengono DNA di mammut lanoso. Gli studiosi hanno invece analizzato e confrontato i genomi di 121 esemplari di mammut ed elefanti, individuando sequenze genetiche condivise tra i mammut ma assenti negli elefanti. Da lì, hanno cercato equivalenti genetici nei topi, per ottenere tratti simili usando geni già noti nei roditori.
I topi come modello per un futuro (forse) preistorico
La scelta di usare topi da laboratorio è dettata dalla loro rapidissima riproduzione, dalla facilità di manipolazione genetica e dalle ridotte dimensioni, che li rendono perfetti per test rapidi. A differenza degli elefanti asiatici, che hanno una gestazione di 22 mesi, i topi portano a termine la gravidanza in meno di tre settimane.
La sfida degli elefanti transgenici
Parallelamente, il gruppo di ricerca lavora su cellule di elefante asiatico, strettamente imparentato col mammut. Sono già state ottenute cellule staminali pluripotenti, un passo fondamentale verso la riproduzione assistita. Ma creare un embrione geneticamente modificato, impiantarlo in un elefante vivo e portarlo a termine resta una delle sfide biologiche più complesse.
L’obiettivo è ambientale, non solo simbolico
Al centro del progetto c’è un’idea più grande della sola de-estinzione: reintrodurre branchi di mammut per modellare nuovamente gli ecosistemi artici, contribuendo a mantenere il permafrost e limitare il rilascio di carbonio. Tuttavia, gli ecosistemi odierni del nord non sono più quelli della steppa dei mammut, e la reale efficacia di un simile intervento resta incerta.
Una corsa contro il tempo (e contro la biologia)
Il fondatore Ben Lamm ha dichiarato di voler vedere vitelli di mammut lanosi camminare sulla terra entro il 2028. Secondo Beth Shapiro, direttrice scientifica del progetto, le cellule geneticamente modificate potrebbero essere pronte nel 2027, ma ci sono ostacoli biologici fondamentali ancora da superare.
Il dodo potrebbe tornare prima
Parallelamente, Colossal Biosciences sta lavorando anche alla de-estinzione del dodo, scomparso dalle Isole Mauritius nel XVII secolo. L’assenza di necessità di una madre surrogata — nel caso del dodo basta un uovo — potrebbe renderlo il primo animale riportato in vita con successo dall’azienda.
La de-estinzione è possibile, ma non sarà semplice
Gli scettici, come Jacquelyn Gill e Tori Herridge, ricordano che un mammut non è solo un elefante peloso. Mancano componenti genetiche invisibili, trasmissioni culturali, e interazioni ecologiche che nessuna ingegneria può replicare. Eppure, il futuro della de-estinzione resta aperto: se il passato può insegnare qualcosa, è che la vita trova sempre un modo — con o senza pelliccia.