Un’antica esplosione stellare, avvenuta a centinaia di anni luce dal nostro pianeta, potrebbe aver innescato un processo di mutazioni genetiche sulla Terra. Secondo un recente studio pubblicato a gennaio 2025 su The Astrophysical Journal Letters, a firmarlo sono stati tre astronomi dell’Università della California a Santa Cruz, che hanno indagato su un possibile nesso tra due fenomeni: il ritrovamento di ferro-60 nei sedimenti del lago Tanganica, in Africa orientale, e l’eccezionale diversità genetica dei virus che colpiscono i pesci Ciclidi, abitanti delle sue acque. Entrambi gli eventi potrebbero avere una radice comune: una supernova di tipo II esplosa circa 2-3 milioni di anni fa.
Ferro-60 nei sedimenti: la firma cosmica di un’antica supernova
Il cuore dell’indagine è rappresentato dal ferro-60, isotopo radioattivo che differisce dal più stabile ferro-56. Questo isotopo non si forma naturalmente sulla Terra in quantità significative e viene considerato un marcatore di esplosioni stellari. I sedimenti prelevati dal fondale del lago Tanganica, situato nella fossa tettonica della Rift Valley, mostrano due picchi distinti di concentrazione di ferro-60. Il primo risale a circa 6-7 milioni di anni fa, mentre il secondo si colloca tra 2 e 3 milioni di anni fa, periodo che coincide con l’ingresso del Sistema solare nella cosiddetta Bolla Locale, una vasta regione della Via Lattea svuotata di gas e polveri a seguito di numerose esplosioni di supernove.
Secondo le ricostruzioni astronomiche condotte dai ricercatori americani, l’ultima ondata di ferro-60 sarebbe arrivata sulla Terra in seguito a una supernova esplosa a circa 500 anni luce di distanza, nell’ammasso stellare conosciuto come Centauro superiore-Lupo, parte del gruppo di stelle Scorpius-Centaurus. A rendere possibile questa scoperta sono stati sofisticati modelli di simulazione che hanno tracciato il percorso del Sistema solare all’interno della Galassia, confermando l’ingresso nella Bolla Locale circa sei milioni di anni fa.
Raggi cosmici e mutazioni: l’onda d’urto della supernova
La supernova in questione non solo avrebbe disseminato ferro-60, ma avrebbe anche agito come un gigantesco acceleratore di particelle, sprigionando raggi cosmici ad altissima energia. Queste particelle subatomiche, capaci di viaggiare a velocità prossime a quelle della luce, avrebbero raggiunto la Terra, provocando un incremento significativo del livello di radiazioni ionizzanti sull’intera superficie del pianeta.
Secondo le stime degli scienziati, la dose media di radiazioni ricevute dalla Terra all’epoca dell’evento cosmico sarebbe stata pari a circa 30 milligray per anno, valore che si mantiene sei volte superiore alla soglia di sicurezza considerata in grado di provocare rotture nel DNA (circa 5 milligray per anno). Questa esposizione avrebbe potuto persistere fino a 100.000 anni dopo l’esplosione. In pratica, un ambiente saturo di radiazioni ionizzanti, in grado di influenzare profondamente l’evoluzione biologica.
Il mistero dei virus dei Ciclidi: un’impennata evolutiva sincronizzata con la supernova
Una delle ipotesi più suggestive avanzate dallo studio riguarda la sorprendente diversificazione genetica osservata nei virus che infettano i pesci Ciclidi del lago Tanganica, in particolare quelli appartenenti al genere Hepacivurus. Un’analisi del genoma virale, pubblicata nel 2024 su Current Biology, ha rivelato che circa 2-3 milioni di anni fa si verificò un’accelerazione nell’evoluzione di questi virus, coincidente con il periodo dell’ipotizzata esplosione di supernova.
La correlazione temporale apre alla possibilità che l’incremento delle radiazioni cosmiche, scatenato dalla supernova del Centauro superiore-Lupo, possa aver contribuito a una maggiore incidenza di mutazioni nel materiale genetico dei virus. Tali mutazioni avrebbero favorito una rapida diversificazione evolutiva, permettendo a queste forme virali di adattarsi a una varietà crescente di ospiti, in parallelo alla speciazione dei Ciclidi, noti per l’estrema variabilità genetica.
Supernove come motori dell’evoluzione terrestre
Le supernove a collasso del nucleo, come quella studiata dai tre ricercatori californiani, rappresentano eventi estremamente energetici capaci di agire da Pevatron, ovvero sorgenti di raggi cosmici con energie che possono raggiungere i milioni di miliardi di elettronvolt. Già negli anni Trenta del Novecento, gli astronomi Walter Baade e Fritz Zwicky ipotizzarono che queste esplosioni potessero essere la principale origine dei raggi cosmici galattici. La ricerca moderna conferma questa teoria, aggiungendo però nuove dimensioni: l’interazione dei raggi cosmici con l’atmosfera terrestre avrebbe potuto accelerare non solo mutazioni genetiche ma anche processi fondamentali per la vita sulla Terra.
I ricercatori sottolineano che il livello di radiazione cosmica non è mai costante, ma varia mentre il Sistema solare attraversa diverse regioni della Via Lattea. È possibile che il contributo di eventi come le supernove vicine abbia avuto un ruolo decisivo nei tassi di mutazione delle forme di vita primordiali e complesse, arrivando persino a influenzare caratteristiche fondamentali come la chiralità delle molecole biologiche.
La Bolla Locale e il ruolo delle supernove nella storia del Sistema solare
Attualmente, il Sistema solare si trova immerso nella Bolla Locale, una zona relativamente vuota di gas, ma permeata dalle radiazioni e dai resti di antiche supernove. Secondo i modelli sviluppati dagli astronomi dell’Università della California a Santa Cruz, il nostro sistema planetario è entrato in questa zona circa sei milioni di anni fa, dopo essere stato esposto a una lunga serie di esplosioni stellari che hanno scolpito questa regione della galassia.
Questa cavità gassosa si estende per circa 1000 anni luce e continua a essere un luogo di studio privilegiato per comprendere l’interazione tra eventi cosmici catastrofici e la vita sulla Terra. Le supernove del passato, secondo i ricercatori, potrebbero aver lasciato un’impronta non solo nei sedimenti geologici, ma anche nel patrimonio genetico di organismi viventi, inclusi virus, pesci, e forse anche primati.
Il legame tra l’antico ferro-60 sepolto nei fondali africani e le mutazioni genetiche nei virus dei Ciclidi potrebbe essere solo l’inizio di una nuova comprensione del ruolo delle stelle morenti nell’evoluzione del pianeta Terra.