Un nuovo studio italiano rivela il funzionamento nascosto dell’erionite, un materiale considerato centinaia di volte più pericoloso dell’amianto. Questo minerale, utilizzato in vari settori, dall’edilizia all’agricoltura, appare innocuo quando è integro, ma diventa un autentico killer quando viene inalato. La ricerca è stata condotta da un team composto da Università Sapienza di Roma, Università di Genova, Enea e Centro Interuniversitario 3R di Pisa, ed è stata pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica Journal of Hazardous Materials.
Gli studiosi, guidati da Paolo Ballirano della Sapienza, hanno individuato il meccanismo attraverso cui l’erionite esercita la propria pericolosità, un aspetto che finora risultava poco chiaro. La chiave sta nel comportamento delle fibre del minerale quando vengono fagocitate dai macrofagi, le cellule specializzate del sistema immunitario responsabili della pulizia all’interno dei polmoni.
L’erionite altera l’ambiente interno delle cellule, modificando il pH e compromettendo l’attività dei lisosomi, organelli cellulari fondamentali per la degradazione delle particelle estranee. L’aumento del pH intracellulare provoca un aumento esponenziale della richiesta di energia cellulare, determinando un’iperattivazione dei mitocondri, veri e propri motori energetici della cellula.
Secondo Sonia Scarfì dell’Università di Genova e del Centro 3R di Pisa, “l’iperattivazione dei mitocondri porta a una produzione incontrollata di radicali liberi, causando stress ossidativo e danneggiando i mitocondri stessi, fino a innescare la morte cellulare”. Ma il problema più grave è la stabilità chimica dell’erionite all’interno dei fluidi biologici: questa caratteristica consente al meccanismo di ripetersi senza sosta, portando a una infiammazione cronica e aumentando il rischio di sviluppo di tumori.
L’erionite, spesso presente in alcune rocce vulcaniche, viene utilizzata anche come materiale di riempimento e per scopi agricoli, ma la sua capacità di resistere ai processi biologici di degradazione la rende un nemico silenzioso e persistente. Lo studio italiano getta nuova luce su una minaccia ambientale e sanitaria ancora sottovalutata, sottolineando quanto questo minerale possa agire come un killer invisibile, con effetti che si accumulano nel tempo e potenzialmente illimitati.