Per la prima volta, gli scienziati hanno osservato nei dettagli la struttura molecolare e il funzionamento della proteina Pink1, considerata una delle principali responsabili dell’insorgenza del morbo di Parkinson. Questa scoperta, frutto di anni di studio da parte dei ricercatori del Walter ed Eliza Hall Institute of Medical Research di Melbourne, in Australia, rappresenta una tappa fondamentale nella comprensione dei meccanismi cellulari che portano alla degenerazione dei neuroni nei pazienti colpiti dalla malattia.
Il risultato, pubblicato sulla rivista scientifica Science, segna un potenziale punto di svolta nello sviluppo di farmaci innovativi, mirati a colpire direttamente la proteina Pink1, fino a oggi considerata un bersaglio inaccessibile per la terapia farmacologica a causa delle scarse conoscenze disponibili sulla sua struttura.
Scoperta nel 2001, Pink1 ha sempre rappresentato un enigma per la comunità scientifica internazionale. La proteina è fondamentale per il corretto funzionamento dei mitocondri, le centrali energetiche della cellula. In condizioni normali, Pink1 si lega ai mitocondri danneggiati, segnalando la necessità di rimuoverli tramite un processo chiamato mitofagia. Nei pazienti affetti da Parkinson, però, una mutazione nella Pink1 ne altera il funzionamento, impedendo la rimozione dei mitocondri difettosi, che si accumulano all’interno delle cellule nervose, smettono di produrre energia e rilasciano sostanze tossiche. Il risultato è la progressiva morte dei neuroni, soprattutto quelli dopaminergici, particolarmente sensibili alla carenza di energia.
Il team guidato da David Komander ha utilizzato tecniche di cristallografia a raggi X e microscopia crioelettronica per ottenere l’immagine dettagliata della Pink1 umana. Questa visione ha permesso agli studiosi di comprendere come la proteina riconosce e si ancora ai mitocondri lesionati, aprendo nuove possibilità per progettare farmaci molecolari capaci di ristabilire il processo di autofagia mitocondriale.
“Questa è una scoperta epocale per la ricerca sul Parkinson,” ha dichiarato Komander. “Osservare finalmente Pink1 all’opera e capire come si lega ai mitocondri è incredibile. Ora sappiamo in che modo possiamo modulare la proteina, e questo potrebbe davvero cambiare il destino delle persone che convivono con questa devastante patologia”.
Attualmente non esistono terapie in grado di fermare o rallentare la progressione del Parkinson. I trattamenti disponibili si limitano ad alleviare i sintomi, senza agire sulle cause profonde della neurodegenerazione. La scoperta della struttura della Pink1 potrebbe rappresentare la base per future strategie terapeutiche, capaci di intervenire precocemente nel processo patologico, prima che i neuroni vengano irreversibilmente danneggiati.
La ricerca, portata avanti negli ultimi dieci anni, ha richiesto una stretta collaborazione tra biochimici, biologi molecolari e neurologi provenienti da diverse parti del mondo, con il supporto di avanzatissime tecnologie di imaging molecolare sviluppate nei laboratori australiani.