Una ricerca innovativa, pubblicata su Science Giovedì 20 Marzo 2025, sta riscrivendo la comprensione scientifica della memoria nei neonati. Attraverso sofisticate scansioni cerebrali, un gruppo di studiosi dell’Università di Yale ha dimostrato che i bambini piccoli non solo apprendono rapidamente, ma iniziano anche a formare ricordi ben prima di quanto si sia mai ipotizzato. Questo studio sfida la tradizionale visione sull’amnesia infantile, il fenomeno che ci impedisce di ricordare esperienze vissute nei primi anni di vita.
L’ipotesi tradizionale sull’amnesia infantile
Per secoli, la difficoltà di ricordare gli eventi dell’infanzia è stata oggetto di riflessione, partendo dalle teorie di Sigmund Freud, che ipotizzava una rimozione attiva dei ricordi più antichi a causa di conflitti emotivi. Le teorie moderne, tuttavia, puntano il dito sull’ippocampo, una struttura cerebrale fondamentale per la memoria episodica, che nei neonati non risulterebbe completamente sviluppata.
Il professore di psicologia Nick Turk-Browne, che ha guidato questa ricerca, si è da sempre chiesto cosa si nasconda dietro quel misterioso vuoto nei nostri primi ricordi autobiografici. “Intorno al primo anno di vita, i bambini mostrano una straordinaria capacità di apprendere: iniziano a camminare, parlare, riconoscere oggetti e creare legami sociali, eppure nessuno di noi ricorda nulla di tutto ciò”, ha dichiarato Turk-Browne.
Scoprire i ricordi nascosti dei neonati grazie all’imaging cerebrale
Negli ultimi anni, esperimenti sui roditori avevano già dimostrato che nell’ippocampo infantile si formano engrammi, cioè tracce fisiche dei ricordi, i quali però col tempo diventano inaccessibili. Queste memorie, sebbene apparentemente perse, possono essere riattivate artificialmente grazie alla stimolazione neuronale con luce laser. Fino ad oggi, tuttavia, non era mai stato possibile applicare tecniche simili agli esseri umani in modo diretto, a causa delle difficoltà logistiche nel mantenere un neonato fermo dentro una macchina per la risonanza magnetica funzionale (fMRI).
Il laboratorio di Turk-Browne ha superato questa sfida affinando negli anni tecniche particolarmente ingegnose: l’uso di ciucci, peluche, copertine e cuscini ergonomici, combinati con immagini colorate e psichedeliche per mantenere l’attenzione dei piccoli, ha permesso di ottenere dati di qualità senza causare disagio ai partecipanti.
Il primo studio fMRI su neonati dimostra l’attività dell’ippocampo
Lo studio ha coinvolto 26 neonati, suddivisi tra quelli sotto e sopra l’anno di età. Durante le sessioni, i bambini osservavano immagini di volti, scene e oggetti. In seguito, veniva mostrata una coppia di immagini: una già vista e una nuova. I ricercatori misuravano il tempo trascorso dai neonati a fissare l’immagine familiare, considerandolo un indicatore della memoria visiva.
I dati raccolti mostrano un’attività significativa dell’ippocampo nei neonati oltre l’anno di età. Su 13 bambini di questa fascia, ben 11 hanno dimostrato una codifica attiva dei ricordi. Al contrario, i neonati sotto l’anno non hanno mostrato la stessa risposta, suggerendo che la capacità di formare memorie episodiche diventa effettiva intorno ai 12 mesi.
Turk-Browne spiega: “Abbiamo potuto dimostrare che i neonati iniziano a formare ricordi nell’ippocampo già a partire dall’età di un anno. È un passo fondamentale per comprendere il modo in cui la nostra memoria autobiografica si sviluppa nei primi anni di vita”.
Perché questi ricordi scompaiono nel tempo?
Nonostante la dimostrazione che le giovani menti registrano esperienze e immagini, resta aperto l’interrogativo su cosa accada a questi primi ricordi. Secondo alcuni studiosi, come Adam Ramsaran e Paul Frankland, i ricordi precoci potrebbero non consolidarsi mai del tutto nella memoria a lungo termine. Un’altra teoria ipotizza che queste memorie restino imprigionate nell’ippocampo, diventando inaccessibili senza un trigger specifico.
Turk-Browne propende per quest’ultima spiegazione e ha già avviato nuove ricerche per testare la persistence dei ricordi. Il suo nuovo progetto coinvolge neonati, bambini piccoli e bambini in età prescolare, sottoponendoli a video registrati dalla loro prospettiva quando erano più giovani. I primi risultati indicano che alcuni ricordi impliciti potrebbero sopravvivere fino ai tre anni, prima di svanire definitivamente.
Il ricercatore si dice entusiasta all’idea che, in futuro, potremmo riuscire a riattivare quei frammenti di memoria e scoprire parti della nostra prima infanzia che crediamo dimenticate per sempre.