Nel panorama delle malattie neurodegenerative, la malattia di Alzheimer rappresenta una delle sfide più complesse e drammatiche. Non solo si tratta della sesta causa principale di morte negli Stati Uniti, ma impone anche un pesante tributo fisico ed emotivo ai familiari dei pazienti, che si trovano a gestire un declino progressivo fatto di perdita di memoria, alterazioni dell’umore, confusione e difficoltà linguistiche, fino a portare chi ne soffre a un progressivo isolamento sociale.
Le radici biologiche dell’Alzheimer affondano nell’accumulo di placche amiloidi, nei grovigli di proteina tau e nella degenerazione sinaptica che colpisce aree fondamentali del cervello come l’ippocampo e la corteccia cerebrale, coinvolte nei processi di memoria e apprendimento. Nonostante gli attuali approcci terapeutici, che puntano in particolare sull’immunoterapia rivolta alle placche amiloidi, non esista ancora una cura definitiva. Tuttavia, un nuovo studio ha aperto una prospettiva inedita, grazie a un composto naturale estratto da due piante ben conosciute: rosmarino e salvia.
Il potere nascosto nell’acido carnosico di rosmarino e salvia
Un team di scienziati del Scripps Research Institute di La Jolla, in California, ha identificato una versione stabile di acido carnosico (CA), un potente antiossidante presente nel rosmarino (Rosmarinus officinalis) e nella salvia (Salvia officinalis). La ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica Antioxidants, ha dimostrato che questa molecola è capace di ridurre sensibilmente i sintomi dell’Alzheimer in modelli animali, aprendo la strada a futuri studi clinici sull’uomo.
L’acido carnosico è noto per la sua capacità di superare la barriera emato-encefalica, attivando geni responsabili di risposte antiossidanti e antinfiammatorie. La sua azione mirata è particolarmente rilevante: si attiva solo in presenza di neuroinfiammazione, agendo selettivamente nelle aree cerebrali più colpite dalla malattia. Questo spiega perché, tradizionalmente, il rosmarino sia associato a effetti benefici sulla memoria. Tuttavia, il CA in forma pura è altamente instabile e poco adatto a un utilizzo terapeutico su vasta scala.
L’acido carnosico di-acetilato: una formula più stabile e promettente
Per ovviare alla scarsa stabilità del CA, i ricercatori hanno sviluppato un derivato chimico: l’acido carnosico di-acetilato (diAcCA). Questo composto si distingue per una maggiore stabilità chimica, una superiore biodisponibilità e una vita di scaffale superiore ai due anni. Somministrato per via orale, il diAcCA viene rapidamente convertito nell’organismo nella sua forma attiva, rendendolo più efficace del CA naturale.
Negli esperimenti condotti su topi geneticamente modificati, modelli consolidati per lo studio dell’Alzheimer, il diAcCA ha prodotto notevoli miglioramenti nella memoria e nell’apprendimento spaziale. Le analisi hanno inoltre mostrato un aumento della densità sinaptica e un’importante riduzione dei livelli di infiammazione e stress ossidativo, nonché una significativa eliminazione delle placche amiloidi e dei grovigli di tau. Questi ultimi rappresentano i principali biomarcatori neuropatologici della malattia.
Un approccio terapeutico con potenziale oltre l’Alzheimer
Il profilo di sicurezza del diAcCA è stato attentamente valutato in studi di tossicità preclinica, che hanno confermato l’assenza di effetti collaterali rilevanti. La caratteristica distintiva di questo composto risiede nel suo meccanismo di attivazione selettiva, che minimizza i rischi per le cellule sane. I ricercatori ipotizzano che il diAcCA possa non solo integrarsi efficacemente con le attuali terapie per l’Alzheimer, ma anche migliorarne gli esiti complessivi, limitando al contempo le reazioni avverse.
Le potenzialità dell’acido carnosico di-acetilato non si fermano all’ambito delle malattie neurodegenerative. Le sue proprietà antinfiammatorie lo rendono un candidato interessante anche per il trattamento di patologie croniche legate all’infiammazione, come il diabete di tipo 2, le malattie cardiovascolari e il morbo di Parkinson.
Lo sviluppo di questa molecola rappresenta un esempio di come le piante medicinali della tradizione, come rosmarino e salvia, possano ispirare nuove soluzioni terapeutiche, con il potenziale di cambiare radicalmente l’approccio alle patologie neurologiche più devastanti del nostro tempo.