Circa cinquant’anni fa, il mondo si trovava di fronte a un disastro annunciato: la pioggia acida. Un fenomeno che distruggeva foreste in Europa, avvelenava i laghi del Nord America, contaminava il cibo e provocava gravi problemi di salute. L’origine? Biossido di zolfo e ossidi di azoto, rilasciati nell’aria da automobili, centrali a carbone e industrie, che si trasformavano in acido solforico e acido nitrico e poi cadevano dal cielo come una pioggia letale.
Nel 1972, un team di scienziati misurò il pH della pioggia nelle White Mountains del New Hampshire, scoprendo un livello di acidità pari a 4, simile a quello del succo di pomodoro. Questo valore era sufficiente a sterminare la fauna acquatica. Grazie a decenni di normative ambientali, in molte parti del mondo occidentale la minaccia è stata contenuta. Ma oggi un nuovo pericolo si annida nelle gocce d’acqua che cadono dal cielo.
Piove PFAS: la nuova emergenza globale
Oggi, l’aria che respiriamo e l’acqua che beviamo sono saturi di PFAS, le cosiddette sostanze chimiche eterne. Il loro nome completo è sostanze per- e polifluoroalchiliche e rappresentano una classe di composti artificiali introdotti negli anni ’40, originariamente utilizzati per schiume antincendio e padelle antiaderenti. Da allora, si sono diffuse in ogni angolo del pianeta.
Ian Cousins, professore di chimica dei contaminanti presso l’Università di Stoccolma, insieme ai colleghi Bo Sha, Jana H. Johansson, Matthew Salter e Martin Scheringer dell’Istituto Federale Svizzero di Tecnologia di Zurigo, ha spiegato nel 2022 che i PFAS si trovano ovunque: nell’aria, nel suolo, nelle acque, negli oceani profondi, sulle vette himalayane, fino ai ghiacci dell’Antartide.
Il problema non è solo la loro diffusione. Alcuni PFAS hanno un’emivita ambientale di 1.700 anni, mentre altri non hanno alcun periodo di degradazione conosciuto. E si accumulano a livelli superiori ai limiti di sicurezza stabiliti dall’Agenzia per la Protezione Ambientale degli Stati Uniti (EPA).
Le conseguenze sulla salute umana sono devastanti: i PFAS sono associati a cancro, infertilità, complicazioni durante la gravidanza, colesterolo alto, colite ulcerosa, ipertrofia epatica e malattie della tiroide. Cousins e il suo team hanno chiarito che nemmeno le regioni più remote della Terra sono sicure: anche nell’Africa subsahariana, nel Sud-est asiatico, come pure sull’Altopiano Tibetano, l’acqua piovana non è più potabile.
La plastica che piove dal cielo: il fenomeno invisibile delle microplastiche
Oltre ai PFAS, la nostra atmosfera è invasa dalle microplastiche. La loro presenza è così diffusa che alcuni scienziati parlano ormai di pioggia di plastica. Janice Brahney, professoressa associata all’Utah State University, ha rilevato che in alcune zone selvagge degli Stati Uniti, il 4% delle particelle atmosferiche raccolte era costituito da polimeri sintetici.
Sono state rinvenute microplastiche persino nell’acqua piovana prelevata sulla cima del Monte Fuji e nei campioni raccolti nell’Antartide. La plastica oggi rappresenta una particella su 25 in ogni litro di acqua piovana analizzata.
Secondo Steve Allen, ricercatore presso l’Università di Strathclyde, queste particelle non solo ostruiscono l’apparato digerente di piccoli animali, ma trasportano anche sostanze chimiche e virus, rendendoli più pericolosi e persistenti. Inoltre, le microplastiche si frammentano ulteriormente in nanoplastiche, ancora più difficili da individuare e rimuovere, e potenzialmente più dannose.
L’acqua piovana non è più una risorsa sicura
Anche se negli ultimi decenni si è riusciti a ridurre gli effetti della pioggia acida, oggi le sostanze pericolose che cadono dal cielo sono invisibili ma onnipresenti. Martin Scheringer, scienziato senior presso l’ETH di Zurigo, ha dichiarato che l’umanità ha ormai superato un confine planetario con i PFAS.
Purtroppo, le tecnologie attuali per la rimozione dei PFAS e delle microplastiche dalle acque reflue sono insufficienti o troppo costose per essere adottate su larga scala. Gli impianti di depurazione spesso non riescono a trattenere queste sostanze, che finiscono nuovamente nell’ambiente, perpetuando il ciclo.
Janice Brahney ha sottolineato che le sue analisi erano limitate a particelle di dimensioni superiori ai quattro micron, ma è probabile che nanoplastiche ancora più piccole fossero già presenti nell’ambiente analizzato. E solo perché non possiamo vederle, non significa che non le stiamo respirando o ingerendo.
La realtà attuale è che l’acqua piovana, in qualsiasi parte del mondo, non è più sicura da bere.