L’incremento delle temperature osservato negli ultimi anni sta favorendo una crescita allarmante dei casi di malattia di Lyme, trasmessa principalmente attraverso i morsi delle zecche dei cervi. Questi parassiti, che si nutrono abitualmente di piccoli mammiferi dei boschi, approfittano del clima più mite per prolungare il loro ciclo di trasmissione e raggiungere anche zone erbose, non solo quelle forestali.
Secondo i Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC), nel corso del 2023 sono stati registrati ben 89.000 casi di malattia di Lyme. Tuttavia, stime basate sul monitoraggio delle terapie parlano di un numero molto più elevato: circa 476.000 persone potrebbero aver contratto l’infezione. La realtà dei numeri si collocherebbe probabilmente tra queste due stime, confermando una diffusione significativa.
I sintomi più comuni e le difficoltà nel trattamento precoce
Le persone infettate dal Borrelia burgdorferi, il batterio responsabile della malattia di Lyme, spesso osservano la comparsa di macchie rosse circolari sulla pelle, accompagnate da cefalea, febbre alta e stanchezza profonda. In assenza di un intervento tempestivo, il batterio può diffondersi all’organismo, arrivando a colpire il cuore, il sistema nervoso centrale e le articolazioni, provocando dolori persistenti simili a quelli dell’artrite cronica.
Il trattamento tradizionale consiste generalmente in un ciclo di antibiotici, efficace solo quando la diagnosi avviene nelle prime fasi. Purtroppo, il riconoscimento tempestivo dei sintomi non è sempre possibile, e molte persone continuano a soffrire di effetti collaterali anche a distanza di anni dalla guarigione clinica.
Una nuova scoperta promettente: bloccare l’enzima chiave del batterio
La ricerca scientifica si sta concentrando su metodi più efficaci per fermare l’infezione alla radice. Un gruppo di scienziati della Virginia Commonwealth University, guidato da Chunhao (Chris) Li, ha recentemente pubblicato uno studio sulla rivista mBio della Società Americana di Microbiologia.
Il team ha individuato come bersaglio un enzima fondamentale nel metabolismo del batterio: il lattato deidrogenasi (BbLDH). Dopo aver analizzato in dettaglio la struttura dell’enzima, i ricercatori hanno individuato i punti più vulnerabili e hanno iniziato a modificare tali elementi.
Queste alterazioni hanno portato alla completa incapacità del patogeno di sopravvivere in laboratorio e di infettare modelli animali. I test condotti in vitro e in vivo hanno confermato che bloccare l’attività di BbLDH paralizza la capacità del batterio di replicarsi e diffondersi.
Molecole sperimentali in sviluppo per fermare la malattia di Lyme
Dopo aver validato l’enzima come obiettivo terapeutico ideale, i ricercatori hanno selezionato diversi candidati molecolari capaci di inibire in modo specifico l’enzima del Borrelia burgdorferi, senza effetti collaterali significativi sugli organismi ospiti.
«Abbiamo scoperto che BbLDH possiede caratteristiche uniche, sia a livello strutturale sia biochimico, ed è essenziale per la crescita e la trasmissione dell’infezione», ha spiegato Chunhao (Chris) Li nel comunicato ufficiale. «Per questo motivo, riteniamo che rappresenti un bersaglio ideale per lo sviluppo di inibitori selettivi che potrebbero, in futuro, essere utilizzati sia per trattare sia per prevenire la malattia di Lyme».
Anni di attesa, ma nuove prospettive per chi vive in zone a rischio
Lo sviluppo di un farmaco efficace richiederà ancora tempo, tra sperimentazioni cliniche e verifiche di sicurezza. Tuttavia, questi risultati rappresentano un passo decisivo verso una possibile cura mirata. Per milioni di persone che vivono o trascorrono il tempo all’aperto in aree boschive o erbose, questa scoperta scientifica potrebbe in futuro cambiare radicalmente la gestione della malattia di Lyme.