Nell’angolo più profondo della costellazione del Centauro, a circa 370 anni luce dalla Terra, gli astronomi hanno immortalato con una chiarezza senza precedenti la crescita tumultuosa di due protopianeti che orbitano attorno alla giovane stella PDS 70. Questa stella, con i suoi appena 5 milioni di anni, è una neonata se confrontata al nostro Sistema Solare, che vanta un’età di circa 4,6 miliardi di anni. Eppure, in questo scenario cosmico primordiale, si stanno già delineando i primi indizi della formazione di esolune, piccoli corpi celesti che potrebbero un giorno orbitare attorno a questi giovani pianeti.
Gli astronomi dell’Università dell’Arizona, grazie all’avanzatissimo strumento Magellan Adaptive Optics Xtreme (MagAO-X) montato sul telescopio Magellan da 6,5 metri dell’Osservatorio di Las Campanas, in Cile, hanno catturato immagini straordinarie. In esse si possono osservare anelli di polvere dorata e rossastra illuminati dalla luce intensa della stella madre, che si riflette e rende visibili dettagli finora inaccessibili.
I protagonisti di questa scoperta, chiamati PDS 70 b e PDS 70 c, sono gli unici protopianeti confermati all’interno di un catalogo che supera i 5.000 esopianeti. La loro rarità rende queste osservazioni ancora più preziose per comprendere i meccanismi di formazione planetaria e la nascita delle esolune. Secondo Jialin Li, dottorando in astronomia presso l’Università dell’Arizona, queste immagini consentono finalmente di distinguere chiaramente le strutture di polvere che circondano i protopianeti, rivelando dettagli fondamentali sul loro sviluppo.
All’interno di questo vasto disco protoplanetario, i due giovani giganti gassosi, già più massicci di Giove, continuano a crescere, attirando su di sé gas e polveri come veri e propri aspirapolvere cosmici. Laird Close, professore di astronomia allo Steward Observatory e capo della ricerca, ha spiegato come questi enormi pianeti, con la loro forza gravitazionale, riescano a creare spazi vuoti all’interno del disco, spazzando via la materia e scolpendo il paesaggio stellare.
Durante i tre anni di osservazioni, il comportamento dei due pianeti si è mostrato sorprendentemente dinamico. PDS 70 b ha visto la propria luminosità ridursi fino a un quinto rispetto al valore iniziale, mentre PDS 70 c ha invece raddoppiato la sua brillantezza. Questi cambiamenti indicano una variazione significativa nella quantità di gas idrogeno che i pianeti stanno accumulando. Close ha commentato questo fenomeno dicendo che, in un certo senso, un pianeta ha improvvisamente smesso di nutrirsi, mentre l’altro stava festeggiando con un banchetto di idrogeno. Le ragioni di queste modifiche nelle abitudini “alimentari” dei protopianeti restano al momento un mistero.
La chiave di questa impresa scientifica è il sofisticato sistema di ottica adattiva MagAO-X, in grado di correggere le turbolenze atmosferiche terrestri e produrre immagini comparabili a quelle ottenute dai telescopi spaziali. Close ha paragonato il funzionamento dello strumento a uno specchio in grado di modificare la propria forma 2.000 volte al secondo, annullando le distorsioni provocate dall’atmosfera. Grazie a questa precisione, è stato possibile osservare dettagli straordinari attorno ai pianeti: per rendere l’idea della risoluzione ottenuta, Close ha descritto un ipotetico scenario in cui, osservando da Phoenix, sarebbe possibile vedere se qualcuno a Tucson, distante oltre 200 chilometri, tiene in mano una moneta.
Le immagini mostrano anche la presenza di anelli di plasma attorno ai protopianeti, riscaldati fino a circa 7.700 gradi Celsius, che emettono luce visibile nella caratteristica banda H-alfa. Questo bagliore deriva dal gas idrogeno che, cadendo violentemente sulla superficie dei pianeti in formazione, si riscalda a temperature estreme generando emissioni luminose che diventano tracciabili dai telescopi.
Il team scientifico, incoraggiato da questi risultati senza precedenti, si prepara ora a estendere le osservazioni a nuovi sistemi stellari, nella speranza di scoprire altri mondi neonati e comprendere meglio la nascita dei pianeti e delle loro lune. I risultati di questa ricerca sono stati pubblicati sulla rivista scientifica The Astronomical Journal.