Nel cuore dell’Ottocento, mentre l’America era ancora lacerata da schiavitù, oppressione e rigide norme sociali di genere, alcune ragazze coraggiose scoprirono nella natura selvaggia uno spazio di resistenza, formazione e libertà. Attraverso il nuovo libro di Tiya Miles, storica ad Harvard e vincitrice del National Book Award, intitolato Wild Girls: How the Outdoors Shaped the Women Who Challenged a Nation, emergono storie potenti di donne che, crescendo all’aperto, sfidarono i limiti imposti dalla società.
Harriet Tubman, abolizionista e figura leggendaria, definiva sé stessa una “erbaccia trascurata”, un essere resistente, tenace, che non si piegava. Da bambina schiava nel Maryland, veniva strappata continuamente alla sua famiglia, costretta a vivere da sola, spesso in condizioni disumane. Fu proprio la sua esposizione costante alla vita nei boschi, alla lettura del cielo e al movimento tra gli alberi, a conferirle gli strumenti necessari per progettare la fuga dalla schiavitù e, successivamente, liberare altri.
Una notte del 1833, mentre si nascondeva in una capanna per visitare la madre, assistette a un evento celeste straordinario: la pioggia di meteoriti Leonidi. Le stelle che solcavano il cielo furono per lei e per altri schiavi bambini un segno divino, la possibilità di un giudizio celeste contro la crudeltà dei padroni. Quella visione accese in lei una nuova consapevolezza spirituale e una speranza incrollabile.
Anche Louisa May Alcott, celebre autrice di Piccole donne, ebbe un’infanzia profondamente segnata dal legame con l’ambiente naturale. Cresciuta a Concord, vicino al celebre Walden Pond, si ribellava ai codici della femminilità imposti: non sopportava restare ferma, né stare in silenzio. La madre tentava persino di legarla al divano per tenerla in casa. Ma Louisa correva nei campi, si arrampicava sugli alberi, leggeva in una carriola nel cortile. Aveva come mentori Emerson e Thoreau, e tra le colline del Massachusetts trovò ispirazione e libertà. Si descriveva più simile a un cervo selvatico che a una ragazza, rifiutando qualsiasi costrizione.
Fu proprio vicino allo stagno Frog che un ragazzo afroamericano le salvò la vita dopo una caduta pericolosa. Quel momento le aprì gli occhi sul valore dell’incontro, sul potenziale degli spazi aperti come luoghi di connessione oltre le barriere razziali. Da quel giorno, Alcott si dichiarò abolizionista.
Una terza figura, meno nota ma altrettanto significativa, è Zitkála-Šá, nata come Gertrude Simmons nella tribù Yankton Dakota. La sua infanzia trascorse tra le praterie e i fiumi, prima di affrontare la violenza delle scuole residenziali federali. Nonostante tutto, diventò scrittice, musicista e attivista, portando con sé la memoria viva della terra che l’aveva cresciuta.
Per Tiya Miles, queste esperienze dimostrano che la natura non fu solo un rifugio, ma un luogo di trasformazione. Fu l’ambiente non sorvegliato dei boschi, dei campi, degli stagni a permettere alle ragazze di sentirsi libere di correre, esplorare, pensare. Luoghi che, a differenza degli spazi interni, non imponevano etichette, non dividevano per razza o ceto, e non chiedevano silenzio alle bambine vivaci.
Il messaggio che emerge da queste biografie è profondo: il contatto con il mondo naturale offrì alle giovani donne una via di fuga dall’oppressione quotidiana, dando loro non solo abilità concrete, ma una forza interiore, un senso di sé e una visione del mondo che le rese capaci di guidare rivoluzioni sociali.
Nell’esperienza di Miles, molte lettrici ritrovano, tra queste pagine, il ricordo perduto della propria infanzia, il desiderio di riconnettersi con quella parte autentica di sé. E proprio da questo desiderio potrebbe partire un nuovo modo di vivere il presente, con maggiore rispetto per la terra e per la libertà di ogni essere umano di abitarla pienamente.