Nel cuore del dipartimento di Vichada, nella remota Colombia orientale, il biologo marino Fernando Trujillo scruta con attenzione la superficie torbida del fiume Orinoco dalla prua di un piccolo bongo, una barca a motore sottile e agile. Accanto a lui, la foresta ripariale si estende fitta e selvaggia, rifugio di giaguari, anaconde e cinghiali. Non lontano dalla riva, un muso lungo e appuntito emerge improvvisamente dall’acqua, seguito dalla testa tondeggiante di un delfino rosa, conosciuto localmente come tonina.
Fernando Trujillo, 57 anni, immortala con la sua fotocamera l’apparizione effimera di questi animali, consapevole che ogni scatto potrebbe rappresentare un’ultima testimonianza di una specie in grave pericolo. Accanto a lui, María Jimena Valderrama Avella, veterinaria e sua fidata collaboratrice, coordina un gruppo di esperti provenienti da tutta la Colombia. Sono arrivati qui, sulle sponde del grande fiume sudamericano, per una missione di monitoraggio e tutela dei delfini d’acqua dolce, animali che stanno scomparendo a ritmi allarmanti.
I delfini rosa, sentinelle dell’Orinoco
I delfini rosa del fiume Orinoco, noti agli scienziati come Inia geoffrensis, sono creature straordinarie, adattate a cacciare nelle acque basse e torbide delle foreste allagate. La loro colorazione varia dal grigio al rosa acceso, una tonalità che si intensifica con l’attività fisica, durante le interazioni sociali o la caccia.
Ma dietro la bellezza dei loro movimenti sinuosi si cela una realtà drammatica. Il World Wide Fund for Nature stima che la popolazione globale dei delfini di fiume sia diminuita del 70% dagli anni ’80. Il fiume Orinoco, terzo più lungo del Sud America, è una delle loro ultime roccaforti, ma anche qui le minacce sono ovunque.
L’inquinamento da mercurio è tra i pericoli principali. Nell’Arco Minerario dell’Orinoco, un’area più grande del Portogallo situata in Venezuela, l’estrazione illegale dell’oro riversa ogni giorno tonnellate di sostanze tossiche nei corsi d’acqua. Il mercato della piracatinga, un pesce predatore che si nutre di carogne e viene catturato utilizzando carne di delfino come esca, ha ulteriormente decimato le popolazioni di cetacei fluviali.
La spedizione scientifica lungo il fiume
A febbraio, Trujillo e Valderrama Avella hanno guidato una spedizione di sette scienziati lungo le acque del fiume Orinoco, dal campo base della riserva naturale Bojonawi fino ai tratti più remoti del fiume. Con loro anche alcuni pescatori venezuelani, reclutati per l’abilità nel maneggiare le reti senza danneggiare gli animali.
Dopo ore di ricerca tra rapide e canyon rocciosi di quasi 900 milioni di anni, il team ha finalmente avvistato un gruppo di delfini rosa. Il cuore di Trujillo batteva forte mentre osservava i pescatori dispiegare la rete di cotone lunga oltre 240 metri, progettata per non ferire la pelle delicata degli animali.
Due delfini sono stati catturati e immediatamente portati a riva per una valutazione della salute. I membri della spedizione hanno operato come una squadra sincronizzata: Valderrama Avella ha ascoltato il battito cardiaco dell’animale, mentre un altro membro del team contava i respiri. Ogni respiro era fondamentale. Un ritmo troppo rapido o troppo lento avrebbe imposto il rilascio immediato del delfino.
La diagnosi e l’analisi
Il primo esemplare catturato, un maschio adulto di circa 136 chilogrammi, mostrava segni di polmonite e profonde cicatrici sulla testa, probabilmente provocate da reti da pesca in monofilamento. Un’ecografia ha rilevato un’infiammazione polmonare, mentre campioni di sangue e tessuto sono stati prelevati per analizzare la presenza di metilmercurio, una delle forme più tossiche del metallo pesante.
L’operazione si è conclusa con l’applicazione di un tag satellitare alla pinna dorsale, che permetterà agli scienziati di seguire i movimenti del delfino e identificare le aree critiche per la sopravvivenza della specie.
Un delfino chiamato Omacha
Fernando Trujillo non è soltanto uno scienziato, ma una figura quasi mitica per le popolazioni indigene Tikuna, Cocama e Yagua, che abitano lungo i corsi d’acqua dell’Amazzonia colombiana. Lo chiamano Omacha, “il delfino che divenne uomo”, un soprannome nato dalla profonda connessione che ha sviluppato con questi animali e il loro habitat.
Dal 1993, anno in cui ha fondato la Fundación Omacha, Trujillo ha dedicato la sua vita a tutelare la biodiversità fluviale. Ha collaborato con pescatori locali per ridurre i conflitti con i delfini e ha contribuito alla creazione di una cooperativa per le mogli dei pescatori, che trasforma il pescato danneggiato in polpette nutrienti, offrendo un’alternativa alla pesca illegale.
Nel 2017, il governo colombiano ha vietato il commercio della piracatinga, dopo anni di pressione da parte di Trujillo. Ma il prezzo per la sua determinazione è stato alto: ha ricevuto minacce di morte e per mesi ha dovuto indossare un giubbotto antiproiettile.
Il futuro dei delfini rosa
Durante questa spedizione, il team ha esaminato un totale di 16 delfini, 11 dei quali hanno ricevuto una valutazione completa. Alcuni esemplari troppo giovani sono stati subito liberati per evitare stress eccessivo. Il giorno di San Valentino, il gruppo ha catturato quattro delfini contemporaneamente, incluso una femmina incinta.
Nella riserva di Bojonawi, Trujillo e il suo team hanno osservato le immagini ecografiche del piccolo delfino in gestazione. La speranza era palpabile mentre scrutavano il monitor, cercando i contorni delle pinne, del muso, del cuore pulsante del cucciolo. Era sano.
“Il messaggio di oggi è speranza,” ha detto Trujillo, applaudendo i suoi compagni esausti ma euforici. “Questo delfino nascerà nell’Orinoco. È la nostra promessa che non smetteremo mai di proteggerli.”
Nominato Esploratore dell’Anno 2024 dal Rolex National Geographic, Fernando Trujillo continua a guidare gli sforzi di conservazione nei bacini dell’Orinoco e dell’Amazzonia, consapevole che la sopravvivenza dei delfini rosa è legata a doppio filo al destino degli stessi corsi d’acqua che alimentano la vita in Sud America.