Gli effetti degli incendi che hanno colpito la California nell’inverno appena trascorso sono ben visibili, ma ciò che si cela dietro quelle immagini è molto più complesso. Secondo i più recenti studi, il fumo degli incendi, unito alle emissioni derivanti dall’uso massiccio di fertilizzanti agricoli, sta modificando la chimica dell’atmosfera, contribuendo in modo sempre più rilevante all’aumento dell’ozono troposferico.
Ian Faloona, esperto in chimica atmosferica presso l’Università della California a Davis, ha portato alla luce dati allarmanti durante il congresso annuale della American Meteorology Society, che si è svolto a Gennaio a New Orleans. Dalle sue ricerche, basate sull’analisi di osservazioni al suolo e immagini satellitari, emerge un cambiamento radicale nella composizione dei principali bacini d’aria del sud-ovest degli Stati Uniti. Le emissioni di ossidi di azoto (NOx) provenienti dagli incendi e dai terreni agricoli si stanno avvicinando ai livelli generati da fonti tradizionali come il traffico veicolare e le attività industriali.
L’ozono a livello del suolo è il risultato di reazioni chimiche tra sostanze inquinanti, luce solare e aria stagnante. È classificato tra i sei principali inquinanti monitorati dall’Agenzia per la Protezione Ambientale degli Stati Uniti (EPA) sin dagli anni ’70, a causa dei suoi gravi effetti sulla salute umana, tra cui malattie respiratorie, complicazioni cardiache, problemi riproduttivi e persino tumori.
Nel 2015, l’EPA ha abbassato il limite massimo consentito a 70 parti per miliardo (ppb) su una media di otto ore. Tuttavia, Faloona sottolinea che le previsioni ufficiali continuano a ignorare due fonti crescenti: gli incendi e le emissioni legate all’agricoltura.
Dal 2015, i dati satellitari hanno mostrato un costante aumento dei livelli di NOx in zone remote della California, dove un tempo si riteneva che l’inquinamento atmosferico fosse minimo. Questo incremento coincide con la crescita esponenziale degli incendi e con un utilizzo più intensivo di fertilizzanti agricoli, aggravato dal riscaldamento climatico.
Le conseguenze sono visibili su scala nazionale: enormi incendi hanno colpito non solo Los Angeles a gennaio, ma anche South Carolina e Long Island negli ultimi mesi. Nonostante il calo registrato negli ultimi decenni, i valori di ozono rilevati in città come San Diego e nella Valle di Sacramento continuano a superare i limiti fissati dall’EPA, evidenziando come la qualità dell’aria rimanga un problema persistente sia nelle metropoli che nelle zone agricole.
Già studi precedenti avevano documentato come il fumo degli incendi fosse in grado di innescare processi di formazione di ozono nelle aree urbane. Il climatologo Dan Jaffe, dell’Università di Washington a Bothell, ha evidenziato che negli anni caratterizzati da incendi particolarmente intensi il numero di giornate in cui si superano i limiti di qualità dell’aria raddoppia.
Il contributo effettivo degli incendi e delle pratiche agricole alla produzione di ozono è stato quantificato solo di recente. Grazie a un metodo innovativo sviluppato da Faloona, si è scoperto che la riduzione delle concentrazioni di ozono osservata negli ultimi anni si è fermata. La componente principale, pari a 64-70 ppb, continua ad arrivare dall’Oceano Pacifico, ma la quota attribuibile alle fonti locali sta cambiando.
Le auto e le industrie, un tempo responsabili di un contributo di 15-20 ppb nelle città di medie dimensioni, oggi sono scese sotto i 6 ppb, ad eccezione delle grandi aree urbane come Los Angeles. Allo stesso tempo, gli incendi e le emissioni del suolo apportano un ulteriore aumento compreso tra 1 e 7 ppb, contribuendo fino al 50% dell’ozono in eccesso. In un’analisi condotta in un’area priva di incendi, è stato riscontrato che circa 2 ppb di NOx provengono esclusivamente dai fertilizzanti.
Anche se questi numeri possono sembrare ridotti, sono determinanti nel tentativo di mantenere l’inquinamento sotto la soglia critica di 70 ppb. Le fonti non regolamentate, come il fumo degli incendi e le pratiche agricole, hanno oggi un peso pari a quello delle attività umane tradizionali nel sud-ovest degli Stati Uniti.
A complicare ulteriormente la questione ci sono le attuali regole applicate dagli stati per il monitoraggio dell’ozono. L’EPA consente di escludere dai dati i cosiddetti eventi eccezionali, come gli incendi, ma la procedura per dimostrare scientificamente che un determinato picco è stato causato dal fumo è così complessa che viene raramente applicata. Come sottolinea Jaffe, in assenza di una corretta attribuzione delle responsabilità, l’intero sistema di controllo dell’inquinamento rischia di crollare.