Le illusioni ottiche sono fenomeni affascinanti che ingannano l’occhio e la mente, mostrando come il cervello interpreti la realtà in base al contesto. Un classico esempio è rappresentato dall’illusione di Ebbinghaus, scoperta nel XIX secolo dallo psicologo tedesco Hermann Ebbinghaus. In questa illusione, due cerchi arancioni identici appaiono di dimensioni diverse solo a causa degli elementi che li circondano. Se un cerchio è circondato da forme più piccole, appare automaticamente più grande.
Il nostro cervello interpreta ciò che vede sfruttando i segnali contestuali. Tuttavia, il grado di influenza delle illusioni varia in base a caratteristiche personali e culturali. Gli psicologi hanno osservato che le donne tendono a essere più sensibili a questi inganni visivi rispetto agli uomini, in quanto si concentrano maggiormente sul contesto. I bambini molto piccoli, invece, non percepiscono le illusioni: un bambino di cinque anni, ad esempio, vede i due cerchi come perfettamente uguali.
Inoltre, fattori come lo sviluppo neuroevolutivo influenzano la percezione delle illusioni. Persone con autismo o schizofrenia risultano meno suscettibili a questi effetti visivi, poiché la loro attenzione si concentra sul dettaglio principale, ignorando il contorno.
Anche la cultura svolge un ruolo cruciale. Popolazioni dell’Asia orientale, come i giapponesi, tendono ad avere una visione più olistica, che presta attenzione all’intero contesto visivo. Questo li rende più vulnerabili a illusioni come quella di Ebbinghaus. La situazione è opposta per le culture occidentali, dove la percezione è più analitica, focalizzata sull’oggetto principale. La differenza culturale diventa ancora più evidente se si osservano i membri della tribù Himba, che vivono nel deserto della Namibia: in un ambiente quasi privo di elementi visivi complessi, il contesto conta meno e l’illusione perde di forza.
Ma è possibile allenarsi a “vedere attraverso” le illusioni ottiche? La risposta arriva da un recente studio scientifico che ha sfidato il pensiero dominante secondo cui la percezione delle illusioni sarebbe automatica e immutabile. I ricercatori hanno esaminato la percezione di 44 radiologi, confrontandola con quella di oltre 100 studenti di medicina e psicologia.
I radiologi sono addestrati a riconoscere dettagli cruciali in immagini complesse, ignorando distrazioni visive. Questa abilità si riflette anche nella loro capacità di non lasciarsi ingannare dalle illusioni ottiche. Un test ha mostrato un cerchio arancione più piccolo del 6% rispetto a un altro: la maggior parte delle persone lo percepiva erroneamente come più grande, mentre i radiologi riuscivano a identificarne le reali dimensioni. Solo quando la differenza raggiungeva il 18%, anche i non esperti riuscivano a vedere la realtà.
Questo fenomeno dimostra che la formazione intensa dei radiologi modifica la loro percezione visiva. Coloro che si trovavano all’inizio del loro percorso formativo non mostravano alcuna capacità particolare, suggerendo che tale abilità si sviluppa solo con anni di pratica.
L’aspetto più sorprendente di questa ricerca è che l’allenamento in un ambito molto specifico, come l’interpretazione di scansioni mediche, può influire su altre aree della percezione visiva. A differenza di quanto accade, ad esempio, nel gioco degli scacchi, dove le competenze acquisite restano confinate a quel campo, la preparazione dei radiologi sembra estendersi anche alla capacità di vedere attraverso illusioni ottiche.
Rimane aperta una domanda intrigante: se l’allenamento sulle illusioni ottiche possa potenziare ulteriormente le competenze professionali dei radiologi. E per chi fosse curioso di sviluppare questa abilità, la risposta ironica dei ricercatori è semplice: bastano cinque anni di studi in medicina e altri sette di specializzazione in radiologia.