Una recente indagine scientifica condotta dall’Università dell’Illinois a Chicago ha evidenziato che il virus herpes simplex di tipo 1 (HSV-1) potrebbe penetrare nel cervello in modo molto più semplice e frequente di quanto si ritenesse finora. La scoperta arriva da uno studio su modelli murini, dove è emerso che l’infezione trasmessa attraverso il naso ha la capacità di provocare danni neurologici significativi, attivando una potente risposta infiammatoria all’interno del sistema nervoso centrale.
Diversi mesi dopo l’infezione, i topi esposti al virus hanno mostrato compromissioni cognitive, aumento dell’ansia e difficoltà motorie, conseguenze ben più gravi delle comuni vesciche labiali o genitali con cui si manifesta l’herpes nell’essere umano.
L’infezione intranasale e la barriera emato-encefalica bypassata
Secondo l’oftalmologo Deepak Shukla, autore senior dello studio, il percorso intranasale rappresenta una possibile via d’accesso trascurata tramite la quale l’HSV-1 può aggirare la barriera emato-encefalica, normalmente deputata a proteggere il cervello da agenti patogeni. L’esperimento ha dimostrato che, quando il virus raggiunge la cavità nasale, può trasferirsi più direttamente al sistema nervoso centrale, determinando infiammazione cronica e lesioni neuronali durature.
Shukla ha sottolineato che questa modalità di trasmissione potrebbe essere sottodiagnosticata. In presenza di secrezioni infette, come le lacrime, il virus potrebbe trovare nella via nasale un accesso diretto al cervello, con conseguenze neurologiche ben più gravi rispetto alle lesioni superficiali che si osservano comunemente.
Il ruolo chiave dell’enzima eparanasi (HPSE) nell’infiammazione cerebrale
Nel corso dell’indagine, gli scienziati dell’UIC hanno rilevato livelli elevati dell’enzima eparanasi (HPSE) nei topi infettati da HSV-1 per via intranasale. Questo enzima, attivato dalla presenza del virus, ha mostrato di favorire una potente risposta infiammatoria all’interno del cervello, contribuendo al deterioramento delle capacità motorie e cognitive degli animali.
Quando il gene HPSE è stato disattivato nei topi, i ricercatori hanno notato una riduzione significativa dell’infiammazione neuronale e un miglioramento delle prestazioni cognitive e motorie rispetto agli esemplari che producevano normalmente l’enzima.
Gli animali capaci di sintetizzare HPSE, invece, hanno sviluppato ansia marcata, peggioramento della memoria e deficit di coordinazione motoria in tempi rapidi. Le lesioni cutanee tipiche dell’herpes labiale, dunque, sarebbero solo il sintomo visibile di un’infezione potenzialmente più insidiosa a livello cerebrale.
Possibili implicazioni per l’essere umano e il legame con l’Alzheimer
Sebbene l’uomo disponga di difese naturali più efficaci contro l’HSV-1, alcuni casi clinici documentano infezioni gravi a carico di occhio, naso e cervello, con conseguenze neurologiche che possono essere permanenti. Gli studiosi sospettano che l’accesso del virus al cervello umano possa essere stato finora trascurato, nonostante l’evidenza di danni a lungo termine.
Una precedente ricerca del 2008 ha individuato il DNA dell’HSV-1 nel 90% delle placche amiloidi esaminate nei cervelli post mortem di pazienti affetti da Alzheimer. Più recentemente, uno studio longitudinale ha rilevato che le persone esposte all’herpes simplex di tipo 1 presentano un rischio doppio di sviluppare demenza rispetto alla popolazione generale.
Le infezioni dormienti risvegliate da traumi e le nuove strategie terapeutiche
Esperimenti condotti su organoidi cerebrali umani hanno mostrato che eventi di trauma fisico possono riattivare infezioni latenti da HSV-1 nel sistema nervoso, scatenando infiammazione e formazione di aggregati proteici, tra cui i grovigli neurofibrillari associati a malattie neurodegenerative come il morbo di Alzheimer.
Le recenti scoperte riguardanti il ruolo dell’HPSE hanno aperto prospettive per lo sviluppo di approcci terapeutici innovativi volti a contrastare la neuroinfiammazione scatenata dall’HSV-1. Secondo Hemant Borase, biochimico dell’Università dell’Illinois a Chicago e primo autore dello studio pubblicato su mBio, la modulazione di questo enzima potrebbe rappresentare un’opportunità concreta per preservare la funzione cognitiva e ridurre i rischi di lesioni cerebrali croniche causate dal virus.
L’HSV-1 colpisce attualmente fino a due terzi della popolazione globale, e le sue implicazioni sul lungo periodo potrebbero essere state sottovalutate fino a oggi.