BASILEA – Il microdosaggio di LSD non rappresenta una soluzione efficace per chi convive con l’ADHD. È quanto emerge dal primo trial clinico controllato e randomizzato mai condotto sull’argomento, coordinato da Matthias Liechti presso l’Università di Basilea, in Svizzera. Secondo quanto rilevato dai ricercatori, assumere piccole quantità del noto psichedelico due volte a settimana non ha prodotto miglioramenti superiori rispetto a un semplice placebo.
Negli ultimi anni, il fenomeno del microdosaggio di sostanze psichedeliche si è diffuso in modo considerevole, soprattutto tra coloro che cercano di incrementare il proprio benessere psicofisico, la concentrazione e la creatività. L’assunzione di dosi minime di LSD, generalmente comprese tra i 10 e i 20 microgrammi, viene praticata per ottenere benefici cognitivi ed emotivi, senza però raggiungere livelli tali da indurre allucinazioni. Tuttavia, le evidenze scientifiche a supporto di queste teorie sono sempre state limitate, basandosi quasi esclusivamente su studi osservazionali e dati auto-riferiti dai partecipanti.
Per offrire una valutazione più rigorosa, il team guidato da Liechti ha reclutato 53 adulti con una diagnosi accertata di disturbo da deficit di attenzione e iperattività, provenienti dai Paesi Bassi e dalla Svizzera. Tutti i soggetti coinvolti presentavano sintomi moderati o gravi di ADHD. Ai 27 partecipanti assegnati al gruppo di trattamento attivo è stata somministrata una dose di 20 microgrammi di LSD, due volte a settimana, un quantitativo che si colloca al limite massimo delle cosiddette microdosi, ma rappresenta comunque appena un quinto della dose psichedelica standard. Il restante gruppo di controllo ha ricevuto un placebo, seguendo lo stesso schema temporale.
I ricercatori hanno valutato l’intensità dei sintomi all’inizio della sperimentazione e dopo sei settimane, utilizzando una scala standardizzata di 54 punti. In media, la riduzione dei punteggi nei soggetti che assumevano LSD si è attestata su 7 punti, mentre coloro che ricevevano il placebo hanno mostrato un miglioramento leggermente superiore, pari a quasi 9 punti. Secondo Liechti, questa differenza è statisticamente irrilevante e conferma che il microdosaggio di LSD non è più efficace rispetto a un trattamento privo di principio attivo.
Il risultato ha spinto gli studiosi a interrogarsi su altri possibili fattori. Secondo Conor Murray, neuroscienziato dell’Università della California a Los Angeles, è possibile che la frequenza di somministrazione adottata nello studio non sia sufficiente per ottenere effetti clinicamente rilevanti. A differenza dei farmaci tradizionali utilizzati per la gestione dell’ADHD, che vengono assunti quotidianamente, il microdosaggio di LSD è stato testato solo due volte a settimana. Inoltre, Murray solleva la questione di un potenziale beneficio derivante da una singola dose acuta, che potrebbe influenzare i sintomi nell’immediato, quando il principio attivo è presente nell’organismo. “Questo è solo il primo passo,” afferma Murray. “Se non osserviamo alcun miglioramento acuto, non ha senso indagare sugli effetti a lungo termine.”
Al momento, i dati disponibili indicano chiaramente che il microdosaggio di LSD non offre un vantaggio terapeutico concreto nella gestione dei sintomi dell’ADHD, almeno alle dosi e con la frequenza testate in questo primo studio clinico rigoroso.