Un’innovativa ricerca condotta nel Mare del Nord, presentata oggi sulla rivista Nature, sta alimentando nuove preoccupazioni sugli effetti dei cambiamenti climatici. Gli studiosi hanno analizzato antichi strati di torba sommersa estratti dai fondali di Doggerland, un’area che un tempo collegava la Gran Bretagna al continente europeo, e hanno scoperto che l’innalzamento del livello del mare potrebbe accelerare molto più rapidamente di quanto si temesse.
Secondo le analisi dei geologi olandesi di Deltares, tra 8.300 e 10.300 anni fa, durante il passaggio alla fase iniziale dell’Olocene, il livello degli oceani è aumentato fino a un metro per secolo. Questo è accaduto quando le calotte glaciali del Nord America e dell’Eurasia si stavano sciogliendo in seguito al rapido riscaldamento del pianeta, un fenomeno che gli esperti ritengono simile ai processi in atto oggi.
Marc Hijma, geologo e autore principale dello studio, ha sottolineato come questi risultati dimostrino l’estrema sensibilità delle calotte glaciali al cambiamento climatico. Ha dichiarato che i nuovi dati aiutano a comprendere “la complessa interazione tra le calotte, il clima e il livello del mare”. Le attuali previsioni indicano un possibile aumento di quasi un metro entro il 2100, ma gli scenari più estremi suggeriscono che si potrebbe arrivare a superare i 1,2 metri.
Hijma ha spiegato che la vera sfida è stata distinguere l’effetto del rimbalzo isostatico del terreno dalla variazione del livello del mare globale. Dopo la scomparsa della calotta eurasiatica, infatti, le terre si sono sollevate come un “materasso che si espande dopo aver tolto un peso”, complicando l’interpretazione dei dati.
Gli strati di torba analizzati a Doggerland sono considerati un laboratorio naturale per lo studio dell’innalzamento del mare. L’area è caratterizzata da una morfologia piatta, che ha permesso agli scienziati di ricostruire con precisione l’evoluzione del livello marino in quell’epoca. L’accuratezza temporale garantita dalla torba si è rivelata superiore rispetto ai coralli fossili, utilizzati finora per stimare i livelli marini antichi.
Aimée Slangen, del Royal Netherlands Institute for Sea Research, pur non avendo partecipato direttamente allo studio, ha sottolineato l’importanza di ottenere “migliori vincoli” sui cambiamenti passati. Secondo Slangen, questi dati sono fondamentali per migliorare le proiezioni future. Anche Roland Gehrels, geologo presso l’Università di York, ha definito la nuova ricerca “preziosa”, perché il periodo di transizione dell’Olocene costituisce un perfetto analogo per i prossimi cinquant’anni.
Le implicazioni attuali sono già visibili. Lungo le coste sudorientali degli Stati Uniti e nel Golfo del Messico, il livello del mare sta crescendo ad un ritmo pari a quasi un centimetro all’anno, ben oltre la media globale. Uno studio pubblicato nel 2024 ha segnalato che l’aumento globale è raddoppiato, passando da due a quattro centimetri per decennio a partire dal 1993. La NASA, in un rapporto di marzo 2024, ha osservato un aumento “inaspettato” dei livelli marini rispetto alle previsioni precedenti.
Gli effetti concreti si fanno già sentire: intere comunità costiere sono state costrette ad abbandonare le proprie case e si stima che entro il 2050, solo in Bangladesh, potrebbero esserci 13 milioni di sfollati. La salinizzazione delle riserve di acqua dolce minaccia ulteriormente le popolazioni di atolli e stati insulari a bassa quota. Inoltre, gli ecosistemi costieri, come le mangrovie e le barriere coralline, sono sempre più a rischio.
Hijma ha espresso preoccupazione sul fatto che i dati raccolti possano essere fraintesi o usati per ridurre l’urgenza dell’azione climatica. Ha ribadito che, sebbene l’aumento naturale del mare sia avvenuto in passato, oggi il ritmo di cambiamento è amplificato dalle emissioni di gas serra prodotte dalle attività umane. “Le calotte glaciali possono reagire molto più in fretta di quanto pensassimo”, ha detto. “Non servono millenni. Può succedere tutto nell’arco di un secolo.”
Nei Paesi Bassi, nazione simbolo delle battaglie contro l’acqua alta, le scelte strategiche di difesa costiera dipenderanno dalla capacità di prevedere il tasso di aumento dei livelli marini. Le misure per la sicurezza idrica varieranno enormemente tra gli scenari intermedi e quelli più estremi, conclude Hijma.
I ricercatori continuano a monitorare attentamente l’andamento delle calotte glaciali in Groenlandia e Antartide, i cui comportamenti futuri potrebbero decidere il destino di milioni di persone e interi ecosistemi costieri nel corso dei prossimi decenni.