Un trattato, una battaglia diplomatica e una pièce teatrale che fa riflettere
Nel cuore del West End di Londra, un tema complesso e controverso come il cambiamento climatico è diventato protagonista assoluto di una produzione teatrale inaspettatamente emozionante. “Kyoto”, spettacolo della Royal Shakespeare Company in collaborazione con Good Chance Productions, porta sul palcoscenico l’intenso processo negoziale che nel 1997 portò alla firma del Protocollo di Kyoto, primo accordo globale giuridicamente vincolante per ridurre le emissioni di gas serra.
Dietro la drammaturgia si trovano Joe Murphy e Joe Robertson, già acclamati per il loro lavoro su “The Jungle”, ambientato in un campo profughi a Calais. Con “Kyoto”, i due autori trasformano una materia ostica e tecnica in un racconto umano e profondamente coinvolgente.
L’accordo globale visto attraverso il conflitto
Il cuore della narrazione si fonda sul conflitto: tra Stati, tra ideologie, ma anche tra visioni del mondo. Il personaggio chiave, Don Pearlman, lobbista americano per l’industria dei combustibili fossili, rappresenta il disaccordo incarnato. Un uomo convinto, al limite dell’ostinazione, che la libertà dell’individuo e la forza del libero mercato siano principi da difendere anche di fronte all’urgenza ambientale.
Pearlman è il catalizzatore di tensioni, ostacoli, colpi di scena. Tuttavia, la sua caratterizzazione sfugge ai cliché del “cattivo”. I drammaturghi hanno scavato nella sua biografia, intervistando anche i familiari, e ciò che ne emerge è una figura profondamente umana, combattuta tra convinzioni, valori familiari e il peso delle proprie scelte.
Lingua, ritmo e acronimi: la sfida di rendere teatrale il gergo dell’ONU
Uno degli aspetti più sorprendenti dello spettacolo è la sua capacità di rendere teatrale il linguaggio tecnico delle Nazioni Unite. Gli acronimi, le frasi cerimoniali (“Il delegato distinto ha la parola”), le parentesi quadre delle bozze di accordo… tutto viene usato per costruire ritmo, ironia e profondità.
Murphy e Robertson giocano con i meccanismi linguistici come se fossero strumenti musicali, rendendo accessibili e addirittura divertenti elementi altrimenti indigeribili per il grande pubblico. Il risultato è un teatro dove il pubblico ride, riflette e partecipa – anche fisicamente, entrando in sala con un cordino al collo, come veri delegati.
Il viaggio personale di Shirley
Se la maggior parte dei personaggi rappresenta posizioni politiche fisse, la vera trasformazione è affidata a Shirley Pearlman, la moglie di Don. Attraverso i suoi occhi, lo spettatore assiste a un’evoluzione emotiva e morale. In una scena chiave, Shirley incontra un attivista ONG che le rivela come già negli anni ‘50 le compagnie petrolifere sapessero dell’impatto climatico delle loro attività, ma abbiano scelto di nascondere la verità. Questo incontro segna un punto di rottura: Shirley, simbolo della cittadinanza comune, comincia a mettere in dubbio tutto ciò in cui credeva.
Il senso dell’accordo in tempi di divisione
L’obiettivo della pièce non è solo raccontare i fatti storici, ma interrogare il presente. In un’epoca di polarizzazione crescente, Murphy e Robertson mettono al centro il valore del compromesso. Raccontano come il Protocollo di Kyoto sia stato il frutto di un processo lento, imperfetto, ma necessario. E lanciano una domanda che risuona forte: siamo ancora capaci di cercare un accordo collettivo, in nome di un bene superiore?
Kyoto come metafora del nostro tempo
Anche se non tutti gli obiettivi del Protocollo sono stati raggiunti, la pièce propone una lettura diversa: senza quell’accordo, saremmo molto più indietro nella lotta contro il cambiamento climatico. “Kyoto” ci ricorda che ogni progresso internazionale si costruisce su basi fragili, su lunghi negoziati, su testi pieni di virgole e clausole. Ma ogni passo, anche il più piccolo, può essere una pietra miliare.