L’origine dei fulmini potrebbe essere legata allo spazio profondo
Un nuovo studio condotto al Los Alamos National Laboratory, nel New Mexico, ha riportato una scoperta sorprendente: i fulmini che colpiscono ogni giorno la Terra – circa 3 milioni, secondo il Met Office del Regno Unito – potrebbero essere innescati da particelle provenienti dallo spazio, in particolare da raggi cosmici.
Una teoria vecchia di decenni sotto esame
Fin dagli anni ’60, gli scienziati hanno ipotizzato che i fulmini si generassero per via di un processo noto come breakdown termico, in cui elettroni ionizzati avrebbero bisogno di un campo elettrico molto intenso per innescare la scarica. Tuttavia, come spiegato da Xuan-Min Shao, fisico e autore principale dello studio pubblicato il 3 Marzo sulla rivista JGR Atmospheres, i campi elettrici misurati nelle nuvole temporalesche sono molto più deboli di quanto previsto da quella teoria.
Un esperimento tridimensionale ad alta precisione
Il team ha utilizzato due gruppi di antenne radio distanti 11,5 chilometri per registrare con estrema precisione lo sviluppo delle scariche elettriche durante un singolo evento temporalesco avvenuto il 30 Luglio 2022. Questo temporale ha generato oltre 300 lampi, che sono stati analizzati sia per traiettoria che per polarizzazione della corrente elettrica.
La scoperta sorprendente è stata che la direzione del segnale del fulmine non corrispondeva a quella della polarizzazione della corrente, suggerendo che l’innesco iniziale della scarica non sia guidato dal campo elettrico nella nuvola.
Le docce di particelle cosmiche come possibile causa
La vera causa potrebbe essere le docce di raggi cosmici, ossia vere e proprie cascate di particelle ad alta energia che si originano quando i raggi cosmici – nuclei di idrogeno carichi provenienti da supernove, buchi neri o dal Sole – colpiscono l’atmosfera terrestre.
Queste interazioni generano pioni, muoni, elettroni energetici e positroni, particelle di antimateria che, secondo Shao, potrebbero spiegare la discrepanza osservata nella direzione delle scariche.
Una connessione ancora tutta da dimostrare
Nonostante queste nuove evidenze, rilevare direttamente l’impatto simultaneo tra raggi cosmici e fulmini è estremamente complesso. I rivelatori di particelle utilizzati attualmente riescono a catturare solo una piccola frazione delle docce cosmiche, rendendo l’osservazione diretta di entrambi i fenomeni un’impresa rarissima.
Shao ha sottolineato che il prossimo passo sarà ripetere le misurazioni su più temporali, cercando correlazioni con il ciclo solare, in particolare durante il massimo solare. In quella fase, il campo magnetico terrestre rafforzato dovrebbe respinge una quantità maggiore di raggi cosmici, riducendo così la probabilità di formazione di fulmini. Tuttavia, i dati finora raccolti sono insufficienti per trarre conclusioni definitive.
Fulmini e attività solare: una relazione da indagare
Shao evidenzia che analizzare l’incidenza globale dei fulmini in relazione all’attività solare richiederà una mole enorme di dati, e sarà fondamentale eliminare tutti gli altri fattori climatici che potrebbero influenzare i risultati. Solo così sarà possibile comprendere davvero il ruolo potenziale dei raggi cosmici nell’origine dei fulmini.