Un recente studio pubblicato il 21 Marzo 2025 sulla rivista Science apre un nuovo capitolo nella comprensione dei primi ricordi dell’infanzia. La ricerca dimostra che anche i neonati, già a partire dai quattro mesi di età, sono in grado di formare ricordi, sfruttando la stessa struttura cerebrale che negli adulti regola la memoria: l’ippocampo.
Durante la sperimentazione, i bambini sono stati tenuti svegli ma tranquilli, protetti da cuffie antirumore e dalla presenza rassicurante di un genitore, mentre venivano sottoposti a risonanze magnetiche funzionali. L’obiettivo era osservare in tempo reale il flusso di sangue nel loro cervello, indicatore dell’attività neurale. L’esperimento ha coinvolto 26 neonati, divisi in due gruppi: 13 al di sotto dell’anno e 13 tra un anno e poco più di due anni di età.
Nello scanner MRI, ai piccoli venivano mostrate immagini di persone, luoghi e oggetti. A intervalli regolari, i ricercatori proponevano coppie di immagini, una nuova e una già vista in precedenza. Quando i bambini fissavano più a lungo quella familiare, gli studiosi deducevano che il ricordo fosse presente. Secondo Nick Turk-Browne dell’Università di Yale, coautore della ricerca, il tempo di attenzione è stato utilizzato per quantificare la forza della memoria dei partecipanti. Analizzando i dati, gli scienziati hanno scoperto che, quando i piccoli osservavano per la prima volta un’immagine che poi ricordavano, nell’ippocampo si attivava un’area specifica.
Il risultato principale dello studio è che l’ippocampo dei neonati appare già maturo per codificare memorie nei primi mesi di vita. A sottolineare l’importanza di questa scoperta è Vladimir Sloutsky, scienziato cognitivo dell’Università Statale dell’Ohio a Columbus, il quale evidenzia come questi dati confermino che l’ippocampo infantile è operativo fin dalle fasi più precoci della vita.
I bambini più grandi, in particolare quelli oltre l’anno di età, sono riusciti a ricordare quasi la metà delle immagini viste in precedenza, dimostrando una correlazione diretta tra la maturazione dell’ippocampo e la capacità mnemonica. Secondo Cristina Alberini, neuroscienziata della New York University, lo studio rappresenta una conferma di quanto già osservato negli animali da laboratorio, come ratti e topi, dove si è visto che l’apprendimento precoce coinvolge in maniera attiva l’ippocampo.
Rimane però un enigma ancora irrisolto: perché i primi ricordi svaniscono? Il fenomeno, noto come amnesia infantile, impedisce agli adulti di ricordare le prime esperienze di vita. Secondo alcuni studiosi, i ricordi precoci potrebbero non essere stati trasferiti e consolidati in altre aree del cervello. Altri ipotizzano che le tracce mnemoniche esistano ancora, ma che manchino gli indizi corretti per riattivarle.
Turk-Browne ricorda che alcuni esperimenti su topi hanno permesso di riattivare i ricordi infantili tramite la stimolazione luminosa di specifiche aree cerebrali, suggerendo che brandelli di memoria dei primi anni potrebbero essere ancora presenti nel cervello umano, ma non accessibili tramite le normali modalità di richiamo. Il ricercatore paragona la difficoltà a quella di una ricerca su internet che fallisce perché si usano parole chiave sbagliate rispetto a quelle utilizzate in origine per archiviare l’informazione.
Il gruppo di ricerca guidato da Turk-Browne è attualmente impegnato a indagare quanto possano durare i ricordi nei bambini e se esistano metodi per accedervi anche dopo lunghi intervalli di tempo.