Gli uccelli non migratori e non marini hanno sviluppato due strategie opposte per sopravvivere nel corso della loro evoluzione. Alcune specie si riproducono rapidamente e hanno una vita breve, mentre altre puntano sulla longevità, riproducendosi meno frequentemente ma per un periodo più lungo. Tuttavia, con l’accelerazione del cambiamento climatico, questa seconda strategia potrebbe rivelarsi un rischio, secondo un nuovo studio.
La relazione tra durata della vita e variabilità climatica
Le specie aviarie che abitano aree con forti variazioni di temperatura all’interno dello stesso anno tendono a vivere meno e a riprodursi velocemente. Questo permette loro di garantire la sopravvivenza della specie nonostante le condizioni instabili. Al contrario, gli uccelli longevi si trovano generalmente in ambienti con variazioni climatiche più graduali da un anno all’altro, il che consente loro di saltare una stagione riproduttiva se le condizioni non sono favorevoli.
Questa strategia è stata efficace per millenni, ma l’aumento delle temperature globali potrebbe mettere in difficoltà proprio queste specie. Gli uccelli con cicli riproduttivi brevi potrebbero adattarsi più velocemente alle nuove condizioni, mentre quelli che vivono più a lungo potrebbero trovarsi in una situazione di svantaggio.
Uno studio su 7.500 specie di uccelli
Analizzando dati climatici e biologici relativi a circa 7.500 specie di uccelli non migratori, i ricercatori hanno scoperto che esiste una correlazione diretta tra la durata della vita e la variabilità ambientale. Tra gli uccelli longevi troviamo il cacatua crestato di zolfo, che può vivere oltre 25 anni in natura, mentre il diamante mandarino, con una vita media di appena un anno e mezzo, rappresenta l’estremo opposto dello spettro.
Secondo Casey Youngflesh, autore principale dello studio e professore alla Clemson University, la questione fondamentale è capire cosa spinge gli animali a essere “veloci” o “lenti” nel loro ciclo vitale. Le specie con vita breve si concentrano sulla riproduzione intensiva per trasmettere i propri geni il più rapidamente possibile, mentre quelle più longeve investono sulla sopravvivenza a lungo termine.
L’impatto del riscaldamento globale sulle specie più longeve
Se da un lato una vita lunga permette una maggiore resistenza a eventi climatici imprevedibili, dall’altro limita la capacità di adattamento rapido. Youngflesh sottolinea che, con il riscaldamento globale, questa strategia potrebbe trasformarsi in una “lama a doppio taglio”. Le specie con un tempo generazionale più breve hanno infatti maggiori possibilità di evolversi rapidamente in risposta alle nuove condizioni climatiche.
Le specie di uccelli longeve che vivono in regioni dove le temperature sono sempre state relativamente stabili, come nel Sud-est asiatico (Indonesia, Malesia e Thailandia), risultano particolarmente vulnerabili all’aumento delle temperature e delle precipitazioni. Queste zone hanno storicamente offerto un clima prevedibile, ma ora il cambiamento climatico sta modificando drasticamente queste condizioni, mettendo in crisi le specie che vi abitano.
Il ruolo delle specie longeve negli ecosistemi
Uno studio precedente ha evidenziato che gli animali con una vita lunga possono essere più resistenti agli eventi meteorologici estremi come uragani e siccità. Ad esempio, elefanti, lama e pipistrelli longevi sono meno vulnerabili rispetto a piccoli mammiferi a vita breve come topi e opossum.
Un altro studio ha dimostrato che proteggere gli animali longevi è essenziale per il mantenimento degli ecosistemi. Gli alberi secolari sono fondamentali per l’immagazzinamento del carbonio, mentre gli esemplari anziani di alcune specie animali trasmettono conoscenze critiche alle nuove generazioni, favorendo la sopravvivenza dell’intero gruppo.
L’adattamento delle specie non basta: servono azioni concrete
Gli scienziati avvertono che, indipendentemente dal ciclo vitale di una specie, il cambiamento climatico sta avanzando a un ritmo più rapido della capacità di adattamento di molti organismi. Ridurre le emissioni di gas serra rimane la soluzione più efficace per mitigare gli impatti su flora e fauna.
Nel frattempo, si registrano passi avanti nella conservazione della biodiversità: durante la recente Conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità, è stato approvato un piano da 200 miliardi di dollari all’anno fino al 2030 per la protezione della natura. Anche se i fondi non sono ancora stati stanziati, gli ambientalisti lo considerano un segnale positivo di cooperazione internazionale.