Una terapia sperimentale basata su un farmaco anti-amiloide potrebbe ritardare l’insorgenza dei sintomi dell’Alzheimer nelle persone geneticamente predisposte, anche in assenza di manifestazioni cliniche evidenti. La scoperta arriva da un trial clinico pubblicato su The Lancet Neurology, che apre nuove prospettive sulla prevenzione della malattia neurodegenerativa.
Secondo i risultati, il trattamento precoce potrebbe frenare il declino cognitivo, rafforzando l’idea che la prevenzione dell’Alzheimer non sia più un’ipotesi astratta. Randall J. Bateman, neurologo della Washington University e autore principale dello studio, sottolinea: “Sono molto ottimista. Questa potrebbe essere la prima prova clinica di un approccio preventivo per chi è a rischio di sviluppare l’Alzheimer. Un giorno non lontano, potremmo riuscire a posticipare l’insorgenza della malattia per milioni di persone.”
Il farmaco gantenerumab dimezza il rischio di sviluppare sintomi nei pazienti geneticamente predisposti
La sperimentazione, avviata nel 2012, ha coinvolto 73 volontari portatori di una forma ereditaria di Alzheimer a ereditarietà dominante, caratterizzata da mutazioni genetiche che determinano un aumento della produzione di proteina amiloide. Queste alterazioni genetiche, pur rappresentando solo l’1% dei casi complessivi di Alzheimer, rendono quasi inevitabile lo sviluppo della malattia entro i 50 anni di età.
Lo studio si è concentrato sull’efficacia di una terapia a base di due anticorpi, tra cui il gantenerumab, nel rallentare la progressione del deterioramento cognitivo. Nonostante la fase 3 del trial clinico non abbia evidenziato miglioramenti significativi nei sintomi cognitivi dei pazienti trattati rispetto al gruppo di controllo, l’analisi ha mostrato che il gantenerumab riduceva in maniera sostanziale i marcatori patologici legati alla malattia.
Estensione del trial e risultati sorprendenti: il declino cognitivo posticipato
Successivamente, alcuni partecipanti hanno continuato a ricevere il gantenerumab anche dopo la chiusura ufficiale dello studio. Nonostante l’interruzione prematura dell’estensione a causa del mancato raggiungimento degli obiettivi clinici primari, un’analisi successiva ha rivelato che il farmaco abbassava del 50% il rischio di sviluppare i sintomi clinici dell’Alzheimer tra coloro che lo avevano assunto più a lungo.
Bateman osserva che alcuni partecipanti, nonostante la predisposizione genetica, non hanno ancora manifestato segni della malattia, suggerendo che il trattamento abbia effettivamente ritardato il decorso neurodegenerativo. “Tutti i soggetti coinvolti erano destinati a sviluppare l’Alzheimer, eppure alcuni non lo hanno fatto. Sappiamo quindi che è possibile guadagnare anni di salute mentale in più,” afferma.
I rischi degli anticorpi anti-amiloide e le prospettive future della ricerca
Il ricorso a anticorpi monoclonali come il gantenerumab comporta alcuni rischi, tra cui sanguinamenti cerebrali e edemi, effetti collaterali che, pur essendo rari, possono risultare fatali. Le microemorragie sono già note per essere associate alla progressione della malattia stessa, complicando ulteriormente l’uso di questo tipo di trattamento.
Nonostante le complicazioni potenziali, altre terapie anti-amiloide di ultima generazione hanno già ottenuto l’approvazione negli Stati Uniti per il trattamento di pazienti che presentano sintomi di Alzheimer, offrendo la possibilità di prolungare le capacità cognitive per diversi anni.
Gli scienziati continuano a indagare se l’impiego precoce di questi farmaci possa offrire una tregua prolungata anche a coloro che sono destinati a sviluppare la malattia nei prossimi decenni. Gli indizi positivi emersi finora rafforzano l’idea che i ricercatori stiano seguendo la giusta direzione nella lotta contro una delle patologie più devastanti a livello globale.