Un evento straordinario ha attirato l’attenzione degli astronomi internazionali: l’eruzione della nova ricorrente LMCN 1968-12A (nota come LMC68), situata nella Grande Nube di Magellano, ha rivelato un’intensità senza precedenti. La stella, una nana bianca compatta quanto la Terra ma con una massa simile a quella del Sole, è esplosa generando una luminosità pari a cento volte quella del nostro Sole, secondo quanto riportato dagli scienziati coinvolti nello studio.
Un’esplosione di nova osservata nel vicino infrarosso
Per la prima volta, un team di ricercatori ha analizzato nel vicino infrarosso l’eruzione di una nova ricorrente al di fuori della Via Lattea. La nana bianca LMC68, in orbita stretta con una stella fredda di tipo tardivo, ha subito una fuga termonucleare dopo aver sottratto abbastanza materiale alla sua compagna. Questo processo ha generato un’esplosione che ha surriscaldato il sistema fino a raggiungere temperature coronali di circa 3 milioni di gradi Celsius, secondo gli studi condotti con il Neil Gehrels Swift Observatory e il telescopio Gemini South.
LMC68: la prima nova ricorrente extragalattica mai scoperta
La nova LMCN 1968-12A fu identificata per la prima volta nel Dicembre 1968 e poi osservata nuovamente in eruzione nel 1990, diventando così la prima nova ricorrente extragalattica riconosciuta. Da allora, le sue esplosioni avvengono ciclicamente ogni quattro anni, un ritmo regolare che ha consentito agli studiosi di prevedere con precisione l’evento più recente, registrato nell’Agosto 2024.
Secondo Nye Evans della Keele University, in questi sistemi binari “la quantità di massa espulsa durante ogni esplosione è inferiore a quella che la nana bianca acquisisce sottraendo materiale alla stella compagna.” Questo meccanismo comporta un incremento progressivo della massa della nana bianca, che potrebbe, col tempo, raggiungere la soglia critica e dare origine a una supernova di tipo Ia.
La sorprendente assenza di metalli nelle osservazioni spettrali
L’analisi dettagliata degli spettri di LMC68 ha lasciato sorpresi gli scienziati. Attraverso la spettroscopia infrarossa, sono state rilevate emissioni estremamente intense di silicio ionizzato nove volte, un segnale che richiede un’energia eccezionale. Tom Geballe, astronomo emerito di NOIRLab, ha descritto il fenomeno come “senza precedenti”, evidenziando come il silicio ionizzato brillasse “quasi cento volte più del Sole.”
Sorprendentemente, non sono state individuate le tipiche firme spettrali di zolfo, fosforo, calcio e alluminio, solitamente presenti nelle esplosioni di nove ricorrenti. Gli studiosi ipotizzano che una concentrazione elevata di elettroni nelle regioni esterne della nova possa aver determinato collisioni che hanno dissipato l’energia degli atomi eccitati, impedendo loro di emettere la luce prevista. Tuttavia, questa spiegazione non giustifica completamente l’assenza totale di tali segnali.
L’influenza della bassa metallicità della Grande Nube di Magellano
Un altro fattore potrebbe essere la metallicità ridotta delle stelle nella Grande Nube di Magellano. La stella compagna di LMC68 potrebbe contenere una quantità inferiore di elementi pesanti, un tratto distintivo delle stelle in questa galassia satellite della Via Lattea. Le stelle a bassa metallicità tendono a generare esplosioni di nova più potenti, perché necessitano di accumulare più materiale per innescare la detonazione. Nonostante questo, la carenza di metalli non spiega completamente la scomparsa delle linee spettrali metalliche nel vicino infrarosso.
La temperatura esterna raggiunta da LMC68 durante la sua fase coronale, superiore a 3 milioni di gradi Celsius, potrebbe aver favorito un processo chiamato ionizzazione collisionale. In questo scenario, gli atomi perdono un numero maggiore di elettroni a causa delle collisioni ad alta energia con elettroni rapidi, portandoli a stati di energia eccezionalmente elevati. Questo fenomeno può spiegare la scarsità di firme spettrali normali nelle osservazioni.
L’importanza delle osservazioni extragalattiche per lo studio delle nove ricorrenti
Nel nostro sistema galattico, sono state identificate meno di una dozzina di nove ricorrenti, rendendo difficile una comprensione approfondita del loro comportamento. Secondo Martin Still, direttore del programma NSF presso l’International Gemini Observatory, l’esplorazione di questi fenomeni in altre galassie è essenziale per ampliare il quadro delle conoscenze. Utilizzando strumenti avanzati come il Gemini South, gli astronomi possono studiare la dinamica di questi eventi in ambienti chimicamente differenti.
Il team di ricerca, che ha pubblicato i risultati sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, sottolinea la necessità di nuove simulazioni e osservazioni a lunghezze d’onda maggiori per confermare le ipotesi emerse da questo straordinario evento nella Grande Nube di Magellano.