Le lingue sono organismi viventi: si trasformano, si arricchiscono e si evolvono nel corso dei secoli. Se oggi si pronunciano espressioni come street corn, nepo baby o beach read, termini freschi di inserimento nel dizionario Merriam-Webster, i primi parlanti dell’inglese antico probabilmente si chiederebbero se si stia comunicando in un idioma del tutto estraneo. Eppure, l’inglese contemporaneo è il risultato di secoli di contaminazioni, adattamenti e prestiti linguistici. Le sue radici affondano in molte terre, dalla Francia con parole come rendezvous e genre, fino al Mediterraneo da cui arrivano termini come lemon. Ma tra tutte queste influenze, quella dei Vichinghi e dell’antico norreno ha lasciato segni profondi, seppur discreti, nell’ossatura della lingua inglese.
Le prime migrazioni linguistiche nelle Isole Britanniche
Nelle Isole Britanniche, l’uomo ha abitato per millenni, ma resta un mistero quale fosse la lingua parlata dai popoli che vi si stabilirono 10.000 anni fa. Con l’arrivo dei Celti, circa 3.000 anni fa, nuove culture linguistiche si sovrapposero a quelle preesistenti. I Romani, successivamente, portarono il latino nella regione, dominando la Britannia fino al 410 d.C.. Sebbene l’Impero si sia poi ritirato, molte parole latine rimasero nel vocabolario britannico, tra cui wall, kitchen, wine e mile. Ma fu attorno al 449 d.C. che l’inglese antico fece la sua comparsa, grazie alle tribù germaniche degli Angli, dei Sassoni, dei Frisoni e dei Juti. Questi popoli portarono con sé dialetti che, nel tempo, diedero vita all’Old English, una lingua allora ancora chiusa a influenze esterne.
L’arrivo dei Vichinghi e l’impatto del norreno sull’inglese antico
Sul finire dell’VIII secolo, i Vichinghi — guerrieri e commercianti provenienti dalle fredde terre di Norvegia e Danimarca — iniziarono le loro incursioni nelle Isole Britanniche. Tra il 793 e il 1066, le incursioni si trasformarono in veri e propri insediamenti. I norvegesi si spinsero fino alle coste della Scozia settentrionale, alla Cumbria e alle Ebridi, mentre i danesi dominarono l’Est dell’Inghilterra e le Midlands. Entro la metà del IX secolo, l’Inghilterra orientale era in gran parte sotto il controllo danese.
Tuttavia, l’Old English di quel periodo era una lingua resiliente: contava circa 25.000 vocaboli, dei quali solo una piccola parte erano prestiti stranieri. I termini di origine celtica erano perlopiù legati a toponimi, come il fiume Tamigi, la cui etimologia affonda nelle lingue celtiche. I Vichinghi, pur imponendo la loro presenza militare e politica, non sovrascrissero la lingua inglese, ma contribuirono con un numero limitato — sebbene significativo — di termini.
They, their e them: l’eredità grammaticale dei norreni
Uno degli apporti più sorprendenti del norreno all’inglese medievale riguarda l’ambito dei pronomi personali. Secondo Eleanor Barraclough, docente alla Bath Spa University, è raro che una lingua adotti dai vicini proprio gli elementi strutturali fondamentali, come i pronomi di terza persona. Eppure, il passaggio dai pronomi hi, hie, heora e hem dell’inglese antico alle forme they, their e them, di chiara derivazione norrena, rappresenta un esempio straordinario di tale assimilazione.
Questo fenomeno si verificò inizialmente nel nord dell’Inghilterra, nelle regioni maggiormente influenzate dagli insediamenti scandinavi, e successivamente si diffuse verso il sud. Una simile convergenza linguistica fu facilitata dalla parentela germanica tra le due lingue: l’Old Norse e l’Old English erano abbastanza simili da permettere una comprensione reciproca.
Il lessico norreno: da knife a glitter
Non furono solo i pronomi a passare all’inglese. Parole come knife, ugly, slaughter, anger e die evocano le immagini tipiche dei Vichinghi come razziatori e guerrieri temibili. Tuttavia, l’influsso norreno si estende anche a termini dal significato più pacifico, e persino dolce, come guest, egg e cake. Persino parole che oggi associamo alla luce e alla bellezza, come glitter e glimmer, derivano dall’antico idioma scandinavo.
Secondo alcuni linguisti, le parole inglesi di origine norrena sono circa 1.000, una cifra impressionante se si considera che un parlante medio di inglese americano conosce intorno alle 42.000 parole.
Il Danelaw e i dialetti dell’Inghilterra settentrionale
Dopo la vittoria di Alfredo il Grande alla fine degli anni 870, si giunse a un accordo che divise l’Inghilterra in tre zone: celtica, inglese e norrena. Nelle regioni controllate dagli scandinavi, note con il nome di Danelaw, si sviluppò una cultura mista che sopravvive tuttora nei dialetti locali.
Nello Yorkshire, ad esempio, è comune l’uso di termini come bairn o barn per indicare un bambino, leik o leck con il significato di giocare, oppure foss o force per designare una cascata. Queste espressioni, pur non essendo entrate nell’inglese standard, rappresentano un’eredità viva delle colonizzazioni vichinghe.
I toponimi forniscono ulteriori indizi dell’impronta norrena. I suffissi -by e -thorpe, visibili in nomi di località come Derby o Althorpe, indicano rispettivamente un villaggio o un insediamento, e testimoniano il radicamento degli scandinavi in queste terre.
Una fusione culturale scolpita nella lingua
Anche se i Vichinghi non sono riusciti a soppiantare del tutto la lingua degli anglosassoni, hanno lasciato un segno profondo che ancora oggi emerge nel linguaggio quotidiano, nei dialetti locali e nella toponomastica di ampie zone della Gran Bretagna settentrionale. La coesistenza e l’integrazione fra le due popolazioni trasformarono la mappa linguistica dell’Inghilterra, arricchendola di parole, strutture grammaticali e suoni che ancora oggi raccontano storie di conquiste, alleanze e scambi culturali.