Il dibattito sull’intelligenza artificiale e le nostre capacità cognitive
L’intelligenza artificiale generativa, come ChatGPT, è ormai una presenza costante nelle nostre vite quotidiane, dal lavoro all’istruzione. Ma mentre la sua capacità di ottimizzare i processi è innegabile, cresce l’interrogativo se questa tecnologia stia erodendo le nostre capacità cognitive, in particolare il pensiero critico e la risoluzione dei problemi.
Un recente studio condotto da Microsoft in collaborazione con la Carnegie Mellon University ha acceso un campanello d’allarme: maggiore è la fiducia riposta negli strumenti di IA generativa, minore è il livello di pensiero critico dimostrato dai partecipanti. Al contrario, chi mantiene fiducia in sé stesso tende ad affrontare i compiti in modo più analitico e indipendente. L’intelligenza artificiale, insomma, può semplificare, ma rischia anche di rallentare il nostro cervello.
Pensiero critico: una risorsa a rischio?
L’uso massivo di questi strumenti porta molti utenti a consumare contenuti generati dall’IA invece di crearne, e spesso senza verificare i fatti. Questo abbassamento dell’impegno cognitivo attivo rischia di trasformare le persone in lettori passivi, incapaci di sviluppare una propria visione critica.
Secondo la ricercatrice Anjali Singh, il problema non risiede solo nell’uso, ma in chi utilizza questi strumenti. Professionisti esperti, con un solido bagaglio di conoscenze, sono più in grado di mantenere un approccio critico. Ma i principianti — come studenti o neoassunti — possono diventare rapidamente dipendenti dall’IA, perdendo l’occasione di sviluppare competenze fondamentali, come l’analisi e la riflessione autonoma.
L’intelligenza artificiale a scuola: amica o nemica?
Nel contesto educativo, la situazione appare ancora più delicata. Studi recenti evidenziano un paradosso: gli studenti sotto pressione ricorrono a ChatGPT per gestire carichi di lavoro eccessivi, ma finiscono per procrastinare di più, peggiorando i propri risultati. In pratica, uno strumento nato per supportare diventa un meccanismo di evasione.
Eppure, altri studi tracciano un quadro più ottimistico. In alcuni casi, l’integrazione di ChatGPT nelle attività scolastiche ha portato a miglioramenti significativi nelle competenze cognitive, in particolare nel pensiero critico e creativo. Questo suggerisce che il vero fattore discriminante non è la tecnologia in sé, ma il modo in cui viene integrata nei percorsi educativi.
Un uso consapevole come chiave per l’apprendimento
Rossella Suriano, ricercatrice nel campo delle scienze cognitive, insiste su un punto essenziale: la consapevolezza d’uso è tutto. ChatGPT può essere uno strumento potente per sviluppare capacità complesse solo se viene utilizzato in modo attivo e intenzionale, non come sostituto del pensiero umano.
Secondo Suriano, l’interazione con l’IA dovrebbe essere trattata come un dialogo critico: il prompt che si fornisce e l’atteggiamento con cui si affronta la risposta fanno la differenza. Se accettiamo passivamente ogni output, l’IA può diventare una stampella che atrofizza il nostro pensiero. Se invece la utilizziamo come strumento di confronto, può diventare un acceleratore cognitivo.
La vera domanda: come evolveremo con l’IA?
Una cosa è certa: non sappiamo ancora abbastanza. La maggior parte delle ricerche si concentra su effetti a breve termine. Ma il vero impatto, soprattutto su giovani menti ancora in formazione, si manifesterà nei prossimi anni. Singh mette in guardia: anche per gli esperti, le conseguenze a lungo termine restano un mistero.
La questione se l’intelligenza artificiale ci renderà “più stupidi” o “più intelligenti” non ha, al momento, una risposta definitiva. È probabile che il futuro dipenda meno dalla tecnologia stessa e più dalla nostra capacità di farne un uso critico, consapevole e responsabile. In altre parole, l’IA non ci sostituirà, ma potrà amplificare o ridurre il nostro potenziale, a seconda di come decidiamo di conviverci.