Candida auris, un fungo pericoloso e altamente resistente ai farmaci, sta mostrando una diffusione allarmante all’interno degli ospedali statunitensi, in particolare nella zona di Miami, in Florida. Secondo un recente studio, i casi clinici sono passati da appena 5 nel 2019 a ben 115 nel 2023, segnando un’impennata del 2.200% in soli quattro anni.
Rilevato per la prima volta negli Stati Uniti nel 2016, C. auris è oggi classificato dai Centers for Disease Control and Prevention (CDC) come una delle minacce antimicrobiche più gravi nel contesto ospedaliero. Il fungo è capace di sopravvivere a lungo sulle superfici, e molti dei suoi ceppi sono resistenti ai farmaci antifungini tradizionali e ai comuni prodotti disinfettanti utilizzati in ambito sanitario.
A destare maggiore preoccupazione è la rapidità con cui si sta espandendo: cateteri, tubi per la ventilazione e strumenti medici condivisi rappresentano i principali veicoli di trasmissione. Quando colonizza l’organismo, può provocare infezioni potenzialmente letali, coinvolgendo il sistema nervoso centrale, il flusso sanguigno, la pelle, gli organi interni e anche i tessuti molli o ossei.
Sebbene il rischio per la popolazione generale resti contenuto, per i pazienti già fragili o immunocompromessi, spesso ricoverati in terapia intensiva, il pericolo è concreto e crescente. Il numero di infezioni nel liquido cerebrospinale, per esempio, è in aumento, complicando ulteriormente le strategie di contenimento.
Il CDC ha diffuso indicazioni dettagliate per arginare la diffusione del fungo, basate su protocolli di igiene rigorosi, isolamento dei pazienti infetti e un’identificazione precoce dei soggetti colonizzati. Tuttavia, i dati emersi dal sistema sanitario della Florida suggeriscono che l’applicazione delle misure è ancora insufficiente a fermare l’ondata.
Il primo caso mondiale di Candida auris fu identificato in Giappone nel 2009. Da allora il fungo ha raggiunto numerosi paesi in ogni continente, con un pattern di espansione che rispecchia oggi quello osservato negli Stati Uniti. Nonostante i frequenti avvertimenti scientifici e le strategie già in atto, la diffusione prosegue e rende sempre più complessa la gestione dell’emergenza all’interno delle strutture ospedaliere.