![](https://www.scienze.com/wp-content/uploads/2025/02/papiro-romano.jpg)
Un antico papiro greco, recentemente decifrato, ha portato alla luce uno dei processi penali più intriganti dell’epoca romana, svelando dettagli su frode, schiavitù e sedizione nella Giudea del II secolo d.C. Il documento racconta la storia di due fuorilegge ebrei, Saulos e Gadalias, accusati di aver evaso le tasse richieste per l’emancipazione degli schiavi e di aver incitato alla ribellione contro il dominio romano.
Una scoperta straordinaria dopo quasi 2.000 anni
Il papiro, il più lungo mai trovato nel deserto della Giudea, è stato inizialmente rinvenuto tra gli anni ’50 e ’60 e attribuito erroneamente ai Nabatei, un popolo che abitava il Medio Oriente nei periodi ellenistico e romano. Rimasto per decenni in un museo di Gerusalemme, è stato riesaminato nel 2014, quando gli studiosi hanno scoperto che era interamente scritto in greco.
Il testo, composto da 133 linee, rappresenta un documento giudiziario che narra le vicende di Saulos e Gadalias, insieme ai loro complici Chaereas e Diocles, accusati di numerosi crimini. Il processo si svolse probabilmente tra il 130 e il 132 d.C., poiché il papiro menziona la visita dell’imperatore Adriano in Giudea nel 129-130 d.C., oltre al nome di Tineius Rufus, governatore della regione fino al 132 d.C.
Alla vigilia della rivolta di Bar Kokhba
La datazione del documento è particolarmente significativa: il processo si tenne poco prima della rivolta di Bar Kokhba, scoppiata nel 132 d.C. contro l’Impero Romano e durata fino al 136 d.C. Il papiro accusa Saulos e Gadalias di sedizione, suggerendo che potrebbero aver partecipato attivamente all’insurrezione.
La testimonianza scritta racconta una storia di corruzione e inganni, con un lungo elenco di crimini attribuiti a Gadalias, tra cui violenza, banditismo, contraffazione di denaro, fuga dalla prigione ed estorsione finanziaria. La narrazione sottolinea come fosse stato più volte condannato ed esiliato, ma anche che fosse un uomo facilmente corruttibile, grazie ai legami con il padre, un notaio corrotto.
Un’elaborata frode sulla schiavitù
Il cuore del caso riguarda l’evasione della tassa del 5% prevista per la liberazione degli schiavi. Saulos, per aggirare la legge, avrebbe trasferito fittiziamente la proprietà di tre schiavi – Abaskantos, Onesimos e un terzo con il nome parzialmente perduto – al complice Chaereas, senza però consegnarli realmente. Gadalias, sfruttando il proprio accesso ai documenti ufficiali, avrebbe falsificato gli atti di manomissione, garantendo così l’evasione fiscale.
Secondo gli studiosi, il caso di Saulos e Gadalias è uno dei meglio documentati della Giudea romana, secondo solo al processo di Gesù. Il testo offre un raro sguardo sulle procedure legali romane e sulle severe punizioni previste per reati di falsificazione e sedizione.
Quale destino per gli accusati?
Sebbene il papiro non riporti l’esito del processo, i ricercatori sottolineano che la falsificazione di documenti (falsum) era punita con pene severissime nell’Impero Romano. Le condanne andavano dalla confisca dei beni e l’esilio fino ai lavori forzati nelle miniere o addirittura alla pena capitale.
Gli autori dello studio, pubblicato sulla rivista Tyche, sottolineano che persino gli honestiores, ovvero i membri delle classi privilegiate, potevano subire condanne pesantissime per questo tipo di reati. Saulos e Gadalias, noti per i loro crimini e la loro inclinazione alla truffa, difficilmente poterono evitare un castigo esemplare.