Nel cuore della ricerca forense emergente, uno studio condotto in Australia, presso l’Università Murdoch di Perth, ha evidenziato come, nonostante l’uso dei preservativi, il trasferimento dei batteri genitali, noto come sexome, tra partner sessuali non venga completamente bloccato. Questa scoperta apre nuove prospettive nelle indagini sui casi di violenza sessuale, un ambito in cui le prove biologiche risultano spesso difficili da ottenere, specialmente quando non vi sono tracce di sperma.
Il sexome: la firma batterica dei genitali
Il concetto di sexome si riferisce alla specifica combinazione di batteri presenti sugli organi genitali di ogni individuo. La comunità microbica che abita le zone intime varia sensibilmente da persona a persona, lasciando una sorta di “firma biologica” dopo ogni rapporto sessuale. Secondo i risultati dello studio pubblicato su iScience nel 2023, questa traccia batterica potrebbe in futuro consentire agli esperti forensi di stabilire non solo se si è verificato un rapporto sessuale, ma anche identificare con quale partner sia avvenuto.
Il principio su cui si basa questa indagine è quello noto come Locard Exchange Principle, ovvero il presupposto secondo cui ogni contatto tra due superfici lascia sempre una traccia. Sebbene questa teoria sia ampiamente utilizzata nella criminologia tradizionale, il suo impiego nel campo del microbioma genitale è stato finora poco esplorato.
L’esperimento: 12 coppie eterosessuali sotto analisi
Un gruppo di ricercatori, guidato da Katrina Chapman e Breanna Dixon, ha analizzato il trasferimento batterico tra i genitali di 12 coppie eterosessuali monogame. Le coppie hanno accettato di interrompere qualsiasi attività sessuale per periodi variabili tra 2 e 14 giorni, prima di riprendere i rapporti sotto osservazione scientifica. I genitali di ciascun partner sono stati prelevati con tamponi prima e dopo il sesso, per verificare i cambiamenti nel rispettivo sexome.
I risultati hanno mostrato che, dopo il rapporto sessuale, le comunità batteriche dei genitali di entrambi i partner subivano modifiche significative, al punto da rendere possibile l’associazione specifica tra i soggetti coinvolti.
Preservativi e trasferimento batterico: protezione incompleta
Tra le 12 coppie coinvolte, 3 hanno dichiarato di utilizzare regolarmente preservativi. Gli scienziati hanno osservato che l’impiego dei profilattici riduceva effettivamente il passaggio di batteri, ma non lo eliminava del tutto. I microbi continuavano a spostarsi, seppur in misura minore, soprattutto dalla donna all’uomo, ma anche in direzione opposta. Questa scoperta smonta l’idea diffusa che l’uso del preservativo renda impossibile rintracciare prove biologiche nei casi di aggressione sessuale.
Le mani come veicolo batterico durante il sesso protetto
Uno degli aspetti più intriganti dello studio riguarda il possibile ruolo delle mani come vettore di batteri. Gli scienziati ipotizzano che il contatto manuale durante i rapporti, anche se protetti da preservativo, possa fungere da “terza parte” nella trasmissione microbica. Questa ipotesi, se confermata, potrebbe spiegare come alcuni batteri riescano comunque a passare tra i genitali, nonostante la barriera fisica del profilattico.
Sexome come strumento forense nei casi di violenza sessuale
L’utilizzo del sexome potrebbe affiancare le tecniche tradizionali basate sull’analisi del DNA umano, rivelandosi particolarmente utile nei casi in cui non siano presenti tracce di sperma, come spesso accade quando l’aggressore utilizza il preservativo per nascondere le prove.
Katrina Chapman, in una dichiarazione, ha sottolineato come questo metodo abbia il grande vantaggio di non richiedere prelievi aggiuntivi o ulteriori procedure invasive per le vittime. La raccolta di campioni batterici può infatti avvenire contemporaneamente ai tamponi standard utilizzati nelle indagini su reati sessuali, riducendo il carico psicologico sulle persone coinvolte.
Limiti della ricerca e difficoltà etiche
Gli stessi autori dello studio, tra cui Breanna Dixon, hanno riconosciuto che 3 coppie che usano preservativi rappresentano un campione troppo ristretto per trarre conclusioni definitive. Il reclutamento di volontari per questo tipo di ricerche si è rivelato complesso, sia per motivi logistici che per vincoli etici. Le autorità di vigilanza sulla sperimentazione umana, infatti, vietano ai ricercatori di pagare le coppie per avere rapporti sessuali a fini scientifici, rendendo difficile ampliare la base di partecipanti.
Katrina Chapman ha raccontato come, in tono scherzoso, alcuni volontari abbiano giustificato la loro adesione non tanto “per amore della scienza”, quanto piuttosto “per amore di qualcos’altro”.
Implicazioni future: dal forense alla salute sessuale
Oltre al campo forense, il sexome potrebbe rivelarsi uno strumento prezioso anche nell’ambito della salute sessuale. I ricercatori stanno collaborando con esperti di ginecologia e urologia per comprendere se un microbioma genitale equilibrato possa ridurre il rischio di contrarre infezioni sessualmente trasmissibili o favorire il concepimento nelle coppie che cercano una gravidanza.
Tuttavia, i progressi in questo settore saranno necessariamente lenti. Lo studio della flora batterica dei genitali richiede tempo e risorse, e i fattori che influenzano il microbioma sono numerosi, tra cui igiene personale, alimentazione, uso di antibiotici, circoncisione e presenza di peli pubici.
Partecipare alla ricerca in Australia
Il Sexome Project è tuttora alla ricerca di volontari, in particolare residenti a Perth, per proseguire con gli studi e ampliare il campione di coppie analizzate. Gli interessati possono contattare il team di ricerca all’indirizzo email [email protected].
Lo studio completo è disponibile ad accesso aperto sulla piattaforma scientifica iScience, offrendo a ricercatori e studiosi di tutto il mondo la possibilità di approfondire i risultati finora ottenuti.