La dimensione quantistica di un neutrino è stata misurata per la prima volta grazie a innovative tecniche sperimentali che analizzano il decadimento della particella. Considerati le seconde particelle più abbondanti nell’universo dopo i fotoni, i neutrini sono le più diffuse tra quelle dotate di massa, eppure la loro interazione estremamente debole con la materia ha reso difficile la loro osservazione diretta.
Non molto tempo fa, gli scienziati dubitavano persino della possibilità di provarne sperimentalmente l’esistenza. Solo una piccolissima frazione di neutrini interagisce con i nostri strumenti, rendendo estremamente complesso il loro studio. Una recente scoperta ha portato alla rivelazione di un neutrino 35 volte più energetico rispetto al precedente record, dimostrando quanto siano ancora vaste le lacune nella nostra comprensione di queste particelle.
Una scoperta che rivoluziona lo studio dei neutrini
Fino ad ora, quando i fisici sono riusciti a osservare i neutrini, hanno potuto stimarne l’energia, ma molte altre proprietà, inclusa la dimensione spaziale, sono rimaste al di fuori delle capacità sperimentali. In un recente articolo, un team di scienziati ha descritto i neutrini come “le particelle fondamentali della natura meno comprese”, ma grazie a nuove tecniche sperimentali è stato possibile compiere un significativo passo avanti.
Utilizzando un metodo innovativo basato su atomi di berillio radioattivo incorporati in sensori superconduttori di tantalio-alluminio, i ricercatori sono riusciti a ottenere misurazioni dirette della dimensione quantistica della particella. Le particelle subatomiche, infatti, non possiedono una dimensione fissa come gli oggetti macroscopici, ma esistono sotto forma di onde di probabilità. Per i neutrini, l’ampiezza di questa distribuzione d’onda era finora sconosciuta.
Le precedenti stime sulla loro dimensione variavano in un intervallo enorme, fino a dieci trilioni di volte, un’incertezza paragonabile all’incapacità di distinguere tra la grandezza di una biglia e la distanza tra la Terra e il Sole.
L’innovativa tecnica di misura basata sul decadimento del berillio
Il team ha utilizzato un metodo che sfrutta il decadimento del berillio-7 in litio, un processo che genera alcuni dei neutrini provenienti dal Sole. Studiando con estrema precisione il comportamento degli atomi di litio risultanti dal decadimento, i ricercatori sono riusciti a ottenere informazioni sulle proprietà quantistiche dei neutrini.
Secondo Kyle Leach, Professore Associato di Fisica presso la Colorado School of Mines e co-responsabile dello studio, l’approccio utilizzato permette di accedere direttamente a informazioni fondamentali sui neutrini, particelle notoriamente difficili da rilevare.
Il metodo, chiamato esperimento di cattura elettronica del berillio in giunzioni tunnel superconduttive (BeEST), sfrutta il fenomeno dell’entanglement quantistico tra il neutrino e il nucleo di litio, permettendo di ottenere informazioni su uno studiando l’altro.
Dai risultati dell’esperimento, è emerso che il neutrino elettronico analizzato ha una larghezza spaziale di almeno 6,2 picometri. Si tratta di una dimensione pari a circa un decimo del raggio di un piccolo atomo, ma mille volte più grande di un nucleo atomico. Questo valore è nettamente inferiore rispetto alle stime precedenti, che suggerivano la possibilità che i neutrini potessero avere dimensioni fino a 2 metri.
Un esperimento di precisione condotto su scala ridotta
A differenza della maggior parte degli esperimenti sui neutrini, che sfruttano acceleratori di particelle come il Large Hadron Collider o collettori sommersi nei ghiacci o nei fondali marini, questo studio ha utilizzato un approccio completamente diverso.
Il team ha impiegato sensori superconduttori ultrasensibili, più sottili di un capello umano, per studiare il comportamento degli atomi di litio. Questa tecnica ha permesso di condurre l’esperimento in un laboratorio di dimensioni ridotte, dimostrando che esperimenti su piccola scala e ad altissima precisione possono fornire risultati complementari a quelli ottenuti nei grandi collisori di particelle.
Secondo Leach, questa ricerca rappresenta solo l’inizio: le implicazioni delle scoperte potrebbero estendersi ben oltre la fisica dei neutrini, migliorando la comprensione del Modello Standard e affinando i metodi di rilevazione di queste particelle provenienti da reattori nucleari e fonti astrofisiche.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Nature, con accesso aperto.