Segni sui denti fossili rinvenuti tra Carolina del Nord e Carolina del Sud rivelano uno scenario inedito sulle abitudini dei colossi marini
I recenti ritrovamenti di alcuni denti fossilizzati di megalodonte – il leggendario squalo preistorico noto come Otodus megalodon – riportano alla luce ipotesi sorprendenti sul comportamento di questi antichi dominatori degli oceani. Gli studiosi hanno individuato graffi e incisioni insolite sulle superfici di quattro esemplari recuperati nelle aree fossili di Carolina del Nord e Carolina del Sud, negli Stati Uniti, suggerendo che tali segni possano essere stati inflitti proprio dai denti di altri esemplari della stessa specie.
Scontri tra titani: un comportamento più complesso del previsto
I megalodonti, che si stima raggiungessero lunghezze massime di 19,8 metri, dominarono i mari per milioni di anni fino a circa 3,6 milioni di anni fa, quando scomparvero definitivamente. Questi giganteschi predatori possedevano una dentatura dotata di margini seghettati estremamente affilati, progettata per affondare nelle carni di balene e altri mammiferi marini. Tuttavia, i nuovi graffi individuati su alcuni denti fossili, invece di derivare dalle prede, sembrano essere il risultato di collisioni avvenute direttamente tra i denti di diversi esemplari di megalodonte.
Gli indizi sui denti fossili che cambiano la prospettiva
Uno dei denti analizzati mostra incisioni perpendicolari rispetto al proprio asse, un dettaglio che rende improbabile l’ipotesi di un danno accidentale provocato durante la normale masticazione. Gli studiosi hanno escluso che questi segni siano il risultato dello sfregamento tra i denti della mascella superiore e quelli della mascella inferiore, poiché nella famiglia degli squali lamniformi, cui appartiene il megalodonte, la mascella superiore sporge ampiamente rispetto a quella inferiore, impedendo il contatto diretto tra i denti durante la chiusura delle fauci.
Possibili spiegazioni: dalla perdita dei denti ai combattimenti tra rivali
Il gruppo di ricerca ipotizza diverse cause all’origine di queste scalfitture enigmatiche. È plausibile che alcuni denti dislocati siano rimasti incastrati nella bocca dell’animale e siano stati colpiti accidentalmente da altri denti durante la masticazione. In alternativa, i megalodonti potrebbero aver ingoiato i propri denti involontariamente o per recuperare fosfato di calcio, come avviene in alcune specie di squali attuali.
Un’ulteriore possibilità coinvolge il morso autoinflitto durante l’alimentazione. Potrebbe infatti essere accaduto che, mentre divorava una grossa preda come una balena, il megalodonte abbia perso alcuni denti nella carne dell’animale e, continuando a nutrirsi, li abbia raschiati con gli altri denti.
Ipotesi più affascinante: duelli e cannibalismo tra giganti
La spiegazione più suggestiva, e potenzialmente rivoluzionaria, è quella che suggerisce scontri diretti tra megalodonti. Gli studiosi avanzano l’idea di combattimenti tra esemplari adulti per motivi territoriali, dispute gerarchiche, diritti di accoppiamento o durante frenesie alimentari. In questi scontri aggressivi, i colpi sferrati con la mascella potrebbero aver segnato i denti dell’avversario, lasciando le tracce fossili oggi osservate.
Un ulteriore scenario ipotizza episodi di cannibalismo: i megalodonti potrebbero essersi cibati dei propri simili, sia in situazioni di predazione diretta che attraverso la consumazione di carcasse. In entrambe le circostanze, i morsi tra esemplari avrebbero potuto produrre i graffi e le incisioni riscontrate sui denti fossili.
Le similitudini con il grande squalo bianco di oggi
Le interazioni aggressive tra squali non sono estranee al mondo marino contemporaneo. I grandi squali bianchi sono noti per scontri mascella contro mascella, soprattutto in contesti di competizione per il cibo o durante rituali di accoppiamento. Episodi simili sono stati documentati anche visivamente, come dimostrato dal documentario “Cannibal Sharks” trasmesso da National Geographic.
Gli studiosi sottolineano che, sebbene non si possa stabilire con certezza la causa di questi graffi fossili, la loro esistenza suggerisce comportamenti complessi e variegati tra i megalodonti, molto più simili a quelli osservati oggi tra gli squali moderni di quanto si ritenesse in passato.
Megalodonte: l’immagine del colosso marino si evolve
Il crescente interesse verso il megalodonte, anche grazie al successo cinematografico di The Meg e Meg 2: The Trench, ha spesso diffuso l’immagine di un colosso simile a un gigantesco squalo bianco. Tuttavia, ricerche recenti ne hanno ridisegnato il profilo morfologico: il megalodonte appariva probabilmente più affusolato e slanciato, con un corpo allungato, più simile a una freccia marina che a un goffo predatore tozzo.
Un altro elemento rilevante emerso di recente è la probabile endotermia parziale di questo predatore, ovvero la capacità di regolare la propria temperatura corporea, caratteristica che lo avrebbe reso più veloce e resistente negli inseguimenti, ma che al contempo potrebbe aver contribuito alla sua estinzione, aumentando il fabbisogno energetico in un periodo in cui le prede scarseggiavano.
I fossili delle Caroline offrono nuove piste per gli studiosi
Gli esemplari rinvenuti tra Carolina del Nord e Carolina del Sud potrebbero rappresentare la chiave per comprendere meglio non solo le dinamiche sociali e alimentari di questa specie preistorica, ma anche il modo in cui interagiva con i propri simili. Le tracce di denti sui denti, se confermate come il risultato di scontri diretti tra predatori, aprirebbero uno scenario inedito sulla vita nei mari del Miocene, aggiungendo nuovi tasselli al mosaico dell’evoluzione degli squali.