L’influenza crescente dell’oceano Atlantico sta mettendo in crisi l’equilibrio dell’Artico, contribuendo alla riduzione della copertura glaciale e alterando il fragile ecosistema della regione. A confermarlo è un rapporto internazionale, presentato all’Università delle Svalbard, durante il convegno promosso dallo Svalbard Integrated Arctic Earth Observing System (Sios), un consorzio scientifico norvegese nato nel 2019 per monitorare le condizioni ambientali dell’Artico.
Il fenomeno dell’“atlantificazione” e il ruolo dell’Italia
Questo processo, definito dagli studiosi “atlantificazione”, è al centro di un capitolo del report coordinato dall’Italia grazie al contributo dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (Ogs) di Trieste. La ricerca, guidata dall’oceanografo Manuel Bensi dell’Ogs, ha coinvolto esperti di dieci istituzioni scientifiche appartenenti a cinque Paesi.
L’analisi dei dati raccolti nelle acque delle isole Svalbard evidenzia come l’atlantificazione, ossia la crescente penetrazione delle acque atlantiche nel bacino artico, stia contribuendo alla perdita di ghiaccio marino e a modifiche significative dell’ecosistema polare. Il rapporto sottolinea che questo fenomeno rientra tra le manifestazioni della variabilità climatica e rappresenta una delle minacce più serie per il futuro dell’Artico.
L’accelerazione del processo e le incertezze sul futuro
Studi recenti indicano che l’atlantificazione ha subito un’accelerazione dagli anni 2000, ma su questa data non vi è un consenso unanime, poiché alcune ricerche suggeriscono che i primi segnali di questo fenomeno risalgano addirittura all’inizio del XX secolo.
Rimane inoltre incerto se l’atlantificazione sia un fenomeno irreversibile o se esistano margini di inversione. Gli esperti segnalano che, sebbene siano state registrate fluttuazioni nel tempo, i dati attuali evidenziano una tendenza di lungo periodo strettamente legata al riscaldamento globale. Un cambiamento che, secondo i ricercatori, non può più essere ignorato.