L’insediamento del Presidente Donald Trump ha segnato un periodo di intensa attività politica, con oltre 40 ordini esecutivi firmati in poche settimane. Tra le decisioni più controverse, molte hanno avuto implicazioni dirette sul clima e sull’ambiente. L’amministrazione ha bloccato finanziamenti federali, ritirato gli Stati Uniti da trattati cruciali come l’Accordo di Parigi e ha ridimensionato il ruolo di numerose agenzie regolatorie.
A destare preoccupazione, tuttavia, è l’eliminazione sistematica di pagine web, database e informazioni scientifiche dai siti governativi, un’operazione che sta spingendo gruppi di ricerca e università a intervenire rapidamente per preservare dati essenziali sui cambiamenti climatici.
Cancellazioni e censure sui siti governativi
Tra le prime azioni dell’amministrazione Trump, un ordine esecutivo ha dichiarato l’“emergenza energetica nazionale”, una mossa che potrebbe facilitare le grandi compagnie petrolifere nel bypassare normative ambientali. Contestualmente, molte agenzie federali hanno ricevuto direttive per modificare o eliminare sezioni dei loro siti web dedicate ai temi ambientali.
Il Dipartimento dell’Agricoltura (USDA) ha ordinato la rimozione delle pagine relative ai cambiamenti climatici, mentre i Centri per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie (CDC) hanno cancellato dati su HIV, long COVID, vaccini e impatti ambientali sulla salute.
Un’analisi condotta da Lever News ha evidenziato come l’Agenzia per la Protezione Ambientale (EPA) abbia eliminato numerose informazioni sul clima dalla sua homepage. La Casa Bianca, l’EPA e l’USDA non hanno rilasciato dichiarazioni ufficiali in merito.
Secondo Gretchen Gehrke, cofondatrice dell’Environmental Data and Governance Initiative (EDGI), la cancellazione dei dati ambientali dai siti web federali non è una novità. Già durante il primo mandato di Trump, numerosi riferimenti ai cambiamenti climatici e alle energie rinnovabili erano stati rimossi.
“La strategia dell’amministrazione Trump sembra essere quella di generare caos e rendere difficile seguire l’enorme quantità di cambiamenti normativi”, ha dichiarato Gehrke.
Gruppi di ricerca al lavoro per salvare i dati
La reazione della comunità scientifica è stata immediata. Un’ampia rete di organizzazioni non profit e università sta lavorando per archiviare e preservare le informazioni a rischio di eliminazione.
L’Internet Archive, in collaborazione con diversi istituti di ricerca, ha lanciato una campagna per salvare milioni di pagine web federali, garantendo l’accesso ai dati per finalità storiche e scientifiche. Il progetto permette di consultare i contenuti eliminati attraverso la Wayback Machine, uno strumento che conserva copie di pagine web nel tempo.
L’EDGI, invece, ha contribuito alla creazione di un database accessibile al pubblico basato sul Climate and Environmental Justice Screening Tool, uno strumento utilizzato per identificare le comunità più colpite da inquinamento e disastri ambientali. Questo database, eliminato sotto l’amministrazione Trump, è ora nuovamente disponibile grazie agli sforzi dei ricercatori.
Anche la Columbia University, con il suo Sabin Center for Climate Change Law, ha sviluppato strumenti per monitorare le politiche ambientali dell’amministrazione Trump. Uno di questi, il Climate Backtracker, traccia i tentativi di indebolire le regolamentazioni climatiche federali.
Secondo Michael Gerrard, direttore del Sabin Center, “molti vogliono capire cosa sta accadendo, sia per combattere queste azioni, sia per comprendere le conseguenze a lungo termine”.
Nomine e nuovi equilibri politici
La strategia di Trump in materia climatica è evidente anche nelle nomine chiave della sua amministrazione. Tra queste, spicca quella di Neil Jacobs alla guida della National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA).
Jacobs, che aveva già ricoperto il ruolo sotto il primo mandato di Trump, è noto per aver sostenuto la controversa affermazione del presidente sull’uragano Dorian, che secondo Trump avrebbe dovuto colpire l’Alabama (episodio noto come “Sharpiegate”).
Effetti globali: l’uscita degli USA dall’Accordo di Parigi
L’uscita degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi potrebbe avere ripercussioni internazionali. L’Indonesia sta valutando di seguire l’esempio americano e abbandonare l’accordo.
“Se gli Stati Uniti non rispettano gli impegni climatici, perché l’Indonesia dovrebbe farlo?”, ha dichiarato Hashim Djojohadikusumo, inviato speciale dell’Indonesia per il clima.
Anche l’Argentina, sotto la presidenza di Javier Milei, sta considerando un passo simile, sollevando preoccupazioni sugli effetti a catena del ritiro degli Stati Uniti dalle politiche ambientali globali.
Cambiamenti climatici e mercato immobiliare negli Stati Uniti
Uno studio della First Street Foundation ha stimato che entro il 2055 i cambiamenti climatici potrebbero causare una perdita di 1,47 trilioni di dollari nel valore degli immobili negli Stati Uniti.
Il rapporto evidenzia come il costo delle assicurazioni e i crescenti rischi ambientali stiano spingendo le persone a cercare casa in aree meno esposte ai disastri climatici. Tuttavia, gli esperti avvertono che non esiste più un “rifugio climatico” sicuro.
Il fenomeno sta già avendo effetti concreti: la compagnia assicurativa State Farm ha chiesto un aumento del 22% sui premi assicurativi in California, a causa degli incendi devastanti.
Resistenza e nuove iniziative ambientaliste
Nonostante l’azione dell’amministrazione Trump, movimenti ambientalisti stanno cercando di contrastare le decisioni federali.
In Kentucky, un gruppo di attivisti ha acquistato un terreno destinato a diventare una prigione federale, con l’intento di trasformarlo in un’area protetta per bisonti. Il progetto, chiamato Appalachian Renewal Project, mira a riqualificare l’area e proteggere la fauna locale.
Secondo Taysha DeVaughan, membro della Nazione Comanche, il ritorno dei bisonti rappresenta “il ritorno di un antenato, un parente” nella cultura indigena.
Le sfide per la tutela ambientale sono molteplici, ma la resistenza della comunità scientifica e dei movimenti ambientalisti dimostra che la battaglia per la salvaguardia dei dati e delle politiche climatiche è tutt’altro che conclusa.