Un gruppo di ricerca guidato da Sofia Sheikh del Seti Institute, in collaborazione con il Characterizing Atmospheric Technosignatures e il Penn State Extraterrestrial Intelligence Center, ha cercato di rispondere a un interrogativo tanto semplice quanto affascinante: se esistesse una civiltà aliena con capacità tecnologiche comparabili alle nostre, sarebbe in grado di rilevare la Terra e i segni della nostra presenza? Se sì, quali segnali intercetterebbe e fino a quale distanza?
L’approccio scientifico dello studio
Per affrontare la questione, gli studiosi hanno utilizzato un modello teorico, basato su formule matematiche e stime realistiche dei parametri rilevanti, come la risoluzione angolare e la sensibilità degli strumenti. Il lavoro riflette lo stato attuale della tecnologia terrestre, considerando strumenti già operativi come il James Webb Space Telescope (JWST) e il Lunar Reconnaissance Orbiter (LRO), che si trova in orbita attorno alla Luna.
L’obiettivo principale della ricerca è stato analizzare i tecnosegnali terrestri che potrebbero essere visibili a distanze interstellari, utilizzando la nostra attuale tecnologia di osservazione. Il titolo dello studio, Earth detecting Earth, nasce proprio dall’idea di capire quanto sia possibile identificare il nostro pianeta e le sue attività tecnologiche dall’esterno.
Le trasmissioni radio: i segnali più evidenti
Il primo aspetto analizzato è stato quello delle trasmissioni radio, una tecnologia che l’uomo utilizza per comunicare a lunghe distanze e che potrebbe risultare tra i segnali più facilmente rilevabili da un’intelligenza extraterrestre. I ricercatori hanno considerato quattro principali classi di emissioni radio:
- Trasmissioni intermittenti dirette verso il cielo, come il celebre messaggio di Arecibo del 1974 e i radar planetari utilizzati per studiare asteroidi e pianeti.
- Trasmissioni continue dirette verso il cielo, come la Deep Space Network (DSN) della Nasa, utilizzata per la comunicazione con le sonde spaziali.
- Emissioni radio persistenti e omnidirezionali, come quelle prodotte da torri cellulari, stazioni televisive e radiofoniche.
- Segnali radio provenienti da risorse spaziali, come le comunicazioni tra orbiter planetari e la Terra.
I risultati hanno mostrato che il segnale più rilevabile è proprio quello inviato da Arecibo, che potrebbe essere individuato fino a 12.000 anni luce di distanza. Le trasmissioni della Deep Space Network potrebbero essere captate fino a 65 anni luce, mentre il rumore radio diffuso dalle infrastrutture terrestri avrebbe una portata molto inferiore, circa 4 anni luce. Il segnale della sonda Voyager, invece, potrebbe essere percepito solo a 0,97 anni luce.
Le firme atmosferiche della tecnologia terrestre
Gli studiosi hanno poi esaminato i tecnosegnali atmosferici, ovvero le impronte chimiche lasciate dalle attività umane nell’atmosfera. La CO₂ è sicuramente una delle sostanze più abbondanti, ma la sua origine può essere sia tecnologica che naturale, per cui viene considerata più una biofirma che una tecnofirma.
Molto più indicative sono invece le tracce di clorofluorocarburi (CFC), che sono quasi esclusivamente di origine industriale e costituiscono una prova chiara dell’attività umana. Anche il diossido di azoto (NO₂), prodotto in gran parte dai motori a combustione e dalle centrali a carbone, è stato analizzato nello studio. Nel 1980, la sua concentrazione atmosferica ha raggiunto il valore massimo di 113 ppm.
Secondo le simulazioni, un telescopio come il futuro Habitable Worlds Observatory (HWO), con 300 ore di osservazione e in assenza di nubi, potrebbe rilevare il NO₂ terrestre fino a 5,71 anni luce di distanza, ossia poco oltre Proxima Centauri, la stella più vicina al Sistema Solare.
Luci artificiali e calore urbano: altre prove della nostra esistenza
Man mano che ci si avvicina alla Terra, emergono ulteriori segnali della nostra civiltà. L’illuminazione urbana è uno di questi: attualmente, il 0,05% della superficie terrestre è occupato da città con elevato inquinamento luminoso. Per poter rilevare l’emissione di luce artificiale a questa scala, un osservatore extraterrestre dovrebbe trovarsi entro 0,036 anni luce, quindi nei pressi del bordo interno della nube di Oort.
Un altro segnale rivelatore è il calore urbano. Le città tendono a essere più calde rispetto alle zone rurali circostanti, un fenomeno noto come isola di calore urbana (UHI). Secondo lo studio, la città con il valore di UHI più elevato è Hong Kong, con un differenziale di temperatura di 10,5°C rispetto all’ambiente circostante.
Un telescopio con strumenti simili a MIRI del JWST potrebbe distinguere il calore di Hong Kong fino a una distanza di 30 unità astronomiche, equivalente a quella di Nettuno dal nostro pianeta.
I manufatti umani nello spazio
Per rilevare oggetti artificiali nello spazio o sulla superficie di altri pianeti, occorre un’osservazione molto più ravvicinata. Secondo i calcoli, con la tecnologia attuale, come quella del Lunar Reconnaissance Orbiter, sarebbe possibile individuare artefatti sulla superficie planetaria fino a una distanza massima di 8.600 chilometri.
Un nuovo approccio alla ricerca di intelligenze extraterrestri
«Il nostro obiettivo era riportare il Seti “sulla Terra” per un momento e capire meglio le nostre stesse capacità di rilevamento», spiega Macy Huston, co-autrice dello studio presso il Dipartimento di Astronomia dell’Università della California, Berkeley.
Sofia Sheikh aggiunge: «Uno degli aspetti più affascinanti di questo studio è stato usare il Seti come uno specchio cosmico: come apparirebbe la Terra agli occhi di un’altra civiltà? E quali impatti dell’uomo sarebbero più evidenti?».
Questo studio offre quindi un quadro dettagliato di come un’ipotetica civiltà aliena potrebbe individuare il nostro pianeta. I futuri telescopi e ricevitori potrebbero migliorare la capacità di rilevare segnali tecnologici e aprire nuove prospettive nella ricerca di vita intelligente nell’Universo.