Il rapporto tra esseri umani e cani affonda le sue radici in un passato remoto, risalente a oltre 30.000 anni fa. Nel corso della storia, la domesticazione ha portato alla creazione di una straordinaria varietà di razze canine, selezionate per rispondere a necessità specifiche, dalla caccia alla protezione fino alla pastorizia. Tuttavia, una nuova ricerca scientifica ha messo in discussione un’idea largamente diffusa: l’allevamento selettivo ha davvero migliorato le capacità funzionali dei cani, come la forza del morso e l’olfatto?
Uno studio recente della Chapman University, pubblicato su Science Advances, suggerisce che la selezione operata dagli esseri umani abbia inciso più sull’aspetto fisico che sulle prestazioni funzionali. Questo significa che, nonostante le evidenti differenze nella forma del cranio tra le varie razze, queste non si traducono in un miglioramento delle abilità specialistiche.
La selezione ha davvero reso i cani migliori nei loro compiti?
Per testare questa ipotesi, il team di ricerca ha condotto un’analisi approfondita su 117 crani appartenenti a 40 razze domestiche e 18 specie di canidi selvatici. Utilizzando una sofisticata tecnologia di morfometria geometrica 3D, i ricercatori hanno esaminato come le variazioni nella forma del cranio influissero su funzioni cruciali come il morso e l’olfatto.
I risultati sono stati sorprendenti: nonostante l’incredibile diversità morfologica tra le razze domestiche, non sono state riscontrate specializzazioni strutturali legate a ruoli specifici. In altre parole, un levriero e un mastino presentano differenze evidenti nella forma del cranio, ma queste non sembrano offrire vantaggi significativi nei rispettivi compiti per cui sono stati selezionati.
Morso e olfatto: nessuna correlazione con la forma del cranio
Per verificare se alcune razze fossero effettivamente superiori nel morso o nell’olfatto, lo studio ha esaminato dettagliatamente la struttura cranica e la sua influenza sulla forza del morso. L’analisi non ha individuato raggruppamenti di razze con una morfologia cranica specifica per migliorare la potenza del morso. Razze comunemente associate a ruoli di protezione, come il Pastore Tedesco o il Dobermann, non hanno dimostrato di possedere caratteristiche ossee che le rendano oggettivamente più adatte a questo compito rispetto ad altre razze di dimensioni simili.
Lo stesso discorso vale per l’olfatto. Nonostante l’idea diffusa che razze come il Bloodhound siano geneticamente superiori nel seguire le tracce odorose, la ricerca suggerisce che le loro capacità non siano necessariamente superiori a quelle di canidi selvatici come lupi e volpi. Le strutture olfattive interne dei cani domestici non mostrano particolari adattamenti rispetto a quelle dei loro antenati selvatici.
Il mito della mascella “bloccante”
Uno dei falsi miti più diffusi riguarda i cani di tipo pit bull, spesso descritti come animali con una mascella bloccante, capace di esercitare una pressione eccezionale. Questo concetto, utilizzato per giustificare restrizioni e leggi discriminatorie su determinate razze, è stato smentito dallo studio.
Non è stata trovata alcuna evidenza morfologica che dimostri la presenza di un meccanismo di blocco del morso o che i pit bull abbiano una forza della mascella superiore rispetto a cani di dimensioni simili. Questo risultato è fondamentale per contrastare le errate convinzioni che hanno portato alla stigmatizzazione di alcune razze, spesso dipinte ingiustamente come più pericolose di altre.
Il comportamento conta più della struttura fisica
Piuttosto che basarsi sulla morfologia, lo studio sottolinea l’importanza del comportamento e dell’addestrabilità nella capacità di un cane di svolgere compiti specifici. Mentre la forma del cranio non incide significativamente sulle prestazioni, i tratti comportamentali sono più ereditabili e svolgono un ruolo fondamentale nella predisposizione di un cane a determinati lavori.
Un esempio lampante è il confronto tra un Labrador Retriever e un Pastore Tedesco: pur avendo una forza del morso simile, il Pastore Tedesco eccelle nei ruoli di protezione grazie alla sua naturale predisposizione alla vigilanza e all’obbedienza. Questo dimostra che l’attitudine comportamentale è un fattore chiave nella selezione dei cani per compiti lavorativi.
Un nuovo approccio nella selezione dei cani da lavoro
Alla luce di questi risultati, lo studio suggerisce che le organizzazioni che si occupano di addestramento canino, comprese le forze dell’ordine e i programmi per cani da servizio, potrebbero ottenere risultati migliori focalizzandosi sulla personalità e sulle capacità cognitive piuttosto che sulla morfologia.
Questo potrebbe non solo migliorare l’efficacia dei programmi di addestramento, ma anche ottimizzare il processo di selezione, rendendolo più efficiente e meno costoso. Invece di concentrarsi su caratteristiche estetiche, i responsabili delle selezioni dovrebbero valutare il temperamento, la predisposizione all’addestramento e l’intelligenza del cane, aspetti che hanno un impatto diretto sulle sue capacità operative.
La selezione umana ha cambiato l’aspetto, non le capacità
Lo studio della Chapman University ha evidenziato un fatto cruciale: nonostante gli esseri umani abbiano creato una straordinaria varietà di razze canine, non sono riusciti a specializzare strutturalmente i cani per compiti specifici. Lindsay Waldrop, una delle autrici della ricerca, ha sottolineato come l’idea che l’aspetto fisico dei cani rifletta la loro capacità funzionale non sia supportata dai dati.
In sostanza, mentre possiamo modificare la forma di un cane attraverso la selezione genetica, non possiamo renderlo biologicamente superiore in determinati compiti semplicemente cambiandone l’aspetto. Ciò che davvero conta è il comportamento, la motivazione e l’intelligenza, elementi che dovrebbero essere al centro della selezione per lavori specializzati.